Sergio Romano, Corriere della Sera 6/12/2013, 6 dicembre 2013
CODICE PASTERNAK PER FELTRINELLI LA GUERRA SEGRETA DEL DOTTOR ŽIVAGO
Nel 1949, quando Giangiacomo Feltrinelli, non ancora editore, fondò una Biblioteca che sarebbe divenuta più tardi Fondazione, il suo obiettivo era la creazione di un centro di documentazione e ricerche per la storia del socialismo sul modello di altri grandi istituti europei.
Non poteva immaginare allora che la Biblioteca, qualche anno dopo, avrebbe ospitato un atto d’accusa contro la politica culturale dell’Unione Sovietica: la sua fitta corrispondenza, fra il 1956 e il 1960, con l’autore del Dottor Živago , il libro che impose il nome della sua casa editrice e provocò una cascata di «incidenti» politici. Studiate da Paolo Mancosu, professore di logica matematica nell’università di Berkeley in California, quelle lettere sono ora raccolte e commentate in un grande Annale della Fondazione Feltrinelli apparso in inglese con il titolo Inside the Zhivago Storm. The Editorial Adventures of Pasternak’s Masterpiece («Dentro la tempesta Živago. Le avventure editoriali del capolavoro di Pasternak»).
Dopo la morte di Stalin, nel 1953, Boris Pasternak sperò di potere finalmente uscire dallo stato d’ibernazione coatta in cui aveva vissuto da quando, nel 1946, Andrej Ždanov, responsabile della cultura nel Comitato centrale del Pcus (Partito comunista dell’Unione Sovietica), aveva denunciato l’estetismo decadente dell’intelligentsija russa e definito una grande poetessa, Anna Achmatova, «mezza suora, mezza prostituta».
Molti prigionieri tornarono dai campi, i nodi della censura divennero un po’ meno stretti e lasciarono passare, tra l’altro, un libro di Ilja Erenburg intitolato emblematicamente Disgelo . Nella dacia di Peredelkino, dove trascorreva lunghi periodi, Pasternak ricominciò a lavorare sulla storia di un giovane medico, Jurij Andreevic Živago, e del suo grande amore per la crocerossina Lara nel grande turbine della rivoluzione bolscevica. Quando terminò il libro, nel 1954, inviò il dattiloscritto ad alcune riviste letterarie e l’accoglienza non fu negativa. Alcune poesie che appartenevano al ciclo del romanzo apparvero sulla rivista «Znamja» e un breve articolo annunciò che l’opera era pressoché completa.
Viveva a Mosca, in quel periodo, un giovane redattore della sezione italiana di Radio Mosca, Sergio D’Angelo, a cui Feltrinelli aveva dato l’incarico di tenere gli occhi aperti e segnalare qualche interessante novità. D’Angelo andò a Peredelkino e convinse Pasternak a dargli una copia del dattiloscritto. L’autore sapeva che la pubblicazione del libro all’estero, prima di una edizione russa, era vietata, ma accettò con una battuta solo apparentemente scherzosa: «Lei è invitato sin d’ora alla mia esecuzione». A Milano il libro fu letto subito con entusiasmo e il 30 giugno del 1956 fu firmato un contratto che riservava a Feltrinelli i diritti editoriali per tutti i Paesi, con l’eccezione dell’Unione Sovietica. Qualche mese dopo, mentre la corrispondenza fra l’autore e l’editore diventava sempre più fitta, Pasternak fece sapere a Feltrinelli che gli avrebbe scritto in molte lingue (russo, tedesco, inglese, italiano, francese), ma che soltanto le lettere in francese avrebbero contenuto il suo pensiero e le sue intenzioni.
La tempesta scoppiò tra la fine del 1956 e gli inizi del 1957, quando i moti polacchi del giugno e la rivoluzione ungherese dell’ottobre dimostrarono che il discorso di Krusciov al XX Congresso del partito contro il culto staliniano della personalità stava mettendo a soqquadro l’universo comunista. Per impedire la pubblicazione del Dottor Živago scesero in campo gli intellettuali più ortodossi e conformisti dell’Unione degli scrittori, il responsabile per la Cultura del Comitato centrale, il presidente del Kgb. Furono fatte pesanti pressioni sul Partito comunista italiano, a cui Boris Ponomariov, responsabile per le relazioni con i partiti «fratelli», ingiunse di «confiscare» il manoscritto pervenuto a Feltrinelli e di restituirlo a Mosca. I sovietici non avevano capito che anche il partito di Togliatti, dopo la rivoluzione ungherese, faceva fatica a controllare i suoi intellettuali.
Con Pasternak, nel frattempo, le autorità sovietiche giocavano d’astuzia. Gli lasciarono intravedere la possibilità di una edizione corretta e lo costrinsero a pretendere che quella italiana venisse rimandata di sei mesi. Pasternak dovette mandare un telegramma a Milano in questo senso, ma lo scrisse in italiano, vale a dire in una delle lingue che, secondo il codice pattuito, trasmettevano messaggi a cui non bisognava prestare fede. Quando il libro, infine, venne pubblicato e l’autore ricevette il premio Nobel nello stesso anno, vi fu un processo a porte chiuse, in cui Pasternak venne condannato alla perdita della cittadinanza e alla deportazione. Si salvò, sembra, grazie a un intervento del leader indiano Jawaharlal Nehru sul governo sovietico. Morì a Peredelkino nel 1960 e la vendetta cadde sulla sua compagna, Olga Ivinskaja (la Lara del Dottor Živago ) accusata di contrabbando di denaro e condannata a otto anni di lager.
Nel dramma ricostruito da Paolo Mancosu vi è un secondo atto che potrebbe intitolarsi «La guerra dei diritti». Per combattere le edizioni pirata, Feltrinelli fu assistito da un intelligente avvocato milanese, Antonio Tesone. «Pirata» fu anche l’edizione russa che apparve in Olanda presso l’editore Mouton. Portava sul frontespizio il nome della casa editrice milanese e venne distribuita ai visitatori russi del padiglione del Vaticano durante l’Esposizione universale di Bruxelles del 1958. Feltrinelli non voleva peggiorare ulteriormente i suoi rapporti con l’Unione Sovietica, ma finì per autorizzare una seconda edizione. E vi fu infine anche una edizione russa negli Stati Uniti, confezionata sotto la regia della Cia presso l’Università del Michigan. Per stamparla occorreva una tipografia americana che disponesse di caratteri cirillici. Fu trovata a New York,dove era stata creata da un gruppo di esuli menscevichi, felici di fare uno sgarbo ai loro fratelli-separati, gli odiati bolscevichi.