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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

IL PROVINCIALE ELTSIN ALLA CONQUISTA DEL POTERE


Nel 1993, quando Boris Eltsin con atto autoritario sciolse il Parlamento, si disse: ecco chi era veramente. Lo si disse soprattutto in Italia, dove l’opinione pubblica era sempre stata anti-eltsiniana: appariva come un avventuriero senza alcun programma, abile manovratore delle difficoltà di Gorbaciov. Il restante Occidente lo aveva invece appoggiato, identificandolo grossolanamente con l’anticomunismo. Sono passati venti anni. Fra i vari scritti, ho trovato una sua intervista su L’Unità (2 dicembre 1993) intitolata «Non se l’è cavata male»: dove lei afferma che neanche Gorbaciov aveva «un progetto di riforma coerente e applicabile». Il suo operato aveva creato due sub partiti (conservatori e democratici) stritolandolo fra due spinte che tiravano in direzione opposta, essendo impossibile una mediazione. «Il gesto di Eltsin — lei asseriva — mi è sembrato inevitabile. E altrettanto inevitabile è per la Russia vivere una fase di democrazia autoritaria». Sono passati, appunto, venti anni. Fatti e personaggi forse sono stati nuovamente sottoposti a giudizio. Il suo giudizio resta immutato? Boris Eltsin: un golpista lui stesso? Oppure l’ago della bilancia nel processo di transizione?
Silvia Delaj
sdelaj@virgilio.it

Cara Signora,
Boris Eltsin non fu né un golpista, né l’ago della bilancia del processo di transizione. Fu un uomo politico, ambizioso, volitivo, dotato di una straordinaria carica di energia, convinto che il sistema sovietico stesse subendo radicali cambiamenti, che vi sarebbe stata una crisi e che occorreva prepararsi a uscirne vincitori. Quando era segretario del partito negli Urali, spinse la sua ferrea ortodossia comunista sino a decretare la distruzione della casa del mercante Ipatev (dove era stata massacrata la famiglia dello zar nel 1918) perché spesso meta di irritanti pellegrinaggi.
Quando Gorbaciov lo chiamò nella capitale per dirigere la federazione moscovita del partito, divenne subito il maggiore esponente di un’ala radicale e populista che voleva utilizzare la perestrojka per una campagna moralizzatrice contro la corruzione dell’apparato. Vi fu un momento in cui circolavano a Mosca distintivi rotondi, nello stile delle campagne elettorali americane, con la scritta «Per Eltsin». I conservatori gli dichiararono guerra e Gorbaciov fu lieto, tutto sommato, di togliergli la federazione moscovita del partito per confinarlo in un incarico governativo irrilevante e umiliante. Era quella la fase in cui il creatore della perestrojka credeva di potere governare la transizione barcamenandosi fra gli oltranzisti delle due ali.
Eltsin attraversò una fase depressiva, ma le riforme costituzionali di Gorbaciov accelerarono la crisi del sistema sovietico, e le elezioni per i parlamenti delle singole repubbliche nel marzo del 1990 gli offrirono l’occasione per tornare in campo. Partecipò a quelle russe, fu eletto e divenne qualche settimana dopo presidente del Soviet supremo della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa. In una fase in cui l’Unione Sovietica era sempre più minacciata da spinte secessioniste, Eltsin era ormai alla guida della più importante delle sue repubbliche. Nelle settimane seguenti se ne valse per proclamare la sovranità della Repubblica Russa e la preminenza delle leggi repubblicane su quelle dell’Unione. Quando divenne di fatto il successore di Gorbaciov, restava da chiarire se i nuovi poteri post-sovietici fossero nel Parlamento o nel palazzo presidenziale. Eltsin dissipò ogni dubbio quando, nel 1993, sciolse il Parlamento, lo fece bombardare dai carri armati e fece arrestare il suo presidente.