Federico Pistone, Corriere della Sera 6/12/2013, 6 dicembre 2013
SCUOLE DI CALCIO, I PIÙ FALLOSI SONO I GENITORI
Li avevano chiamati a sostituire gli ultrà nelle curve dello Juventus Stadium e loro, tredicimila bimbi pescati dalle scuole calcio, lo hanno fatto con grande scrupolo. Ne è convinto Zeljko Brkic, portiere serbo dell’Udinese che non ha avvertito differenze dalle «solite» trasferte, accompagnato dal consueto coro in crescendo a ogni suo rilancio dal fondo. Quel «m...», dalla tonalità solo un po’ più acuta. È il fallimento di una speranza, la rassegnazione a una sottocultura impossibile da sradicare, o è solo «accanimento», come l’ha definito Antonio Conte dopo la multina di 5 mila euro decisa dal giudice Tosel? «È facile fare demagogia e retorica — sostiene l’allenatore della Juve — quando si parla di bambini. Da padre di famiglia dico che bisogna migliorare il calcio, in tutte le sue componenti: da chi scende in campo alla comunicazione».
Da «padre di famiglia», appunto. Qui nascono i dolori. «La mia squadra ideale è una squadra di orfani», dichiara con amarezza Paolino Pulici, che a Trezzo d’Adda da 16 anni ha avviato una scuola calcio dove i genitori non sono graditi: «Molti rovinano i figli senza nemmeno rendersene conto. Non hanno raggiunto i risultati sperati e riversano sui bambini le proprie frustrazioni». E ricorda l’episodio di un padre che per incitare il piccolo gli ha gridato: «Dai, diventa ricco e famoso, così possiamo comprarci la villa».
Dietro le transenne di un campetto di periferia un tifoso-papà lancia un grido di guerra da far impallidire gli hooligan: «Arbitro sei un deficiente, quando esci ti massacro», e gli altri vicino a lui lo sostengono con una risata da covo dei pirati. I ragazzini in campo vengono proiettati così in una dimensione adulta e malata, ne restano vittime e fatalmente si adeguano. «Nella mia esperienza ne ho viste di tutti i colori», racconta Davide Arlati, ds della storica Virtus Milano 1908. «Papà che istigano i figli a “spaccare le gambe” o ragazzini che si divertono con i buuh come quelli dei grandi. Le società intervengono per quanto possibile, ma lo stile bisogna impararlo a casa». «Siete un branco di incapaci», è il curioso incoraggiamento del «mister»: perché anche gli allenatori o i dirigenti delle giovanili, con l’aggravante di essere «padri di famiglia», assumono spesso atteggiamenti nevrastenici. E i riferimenti del calcio sano, i terzitempi, i fairplay, vanno a farsi benedire. Così quando si ritrovano a migliaia, in una curva vera e in una gara importante, ecco l’occasione per dimostrare di avere «recepito i buoni esempi», intonando come per magia un coro che diventa più un rito che un’offesa, una normale, grottesca, manifestazione di tifo «sportivo».
«Il comportamento dei genitori è determinante — conferma Luca Pancalli, presidente del settore giovanile Figc — e stiamo coordinandoci con i settori giovanili scolastici per offrire strumenti educativi adeguati. L’iniziativa della Juventus è straordinaria, non è un fallimento e anzi va ripetuta e migliorata. Attenti però a non far diventare questi ragazzi dei pacchi che riempiono dei vuoti, riserve che entrano in campo quando i tifosi titolari si comportano male. Da avvocato mi sarebbe piaciuto che ci fosse stata un po’ di fantasia giuridica: ti do la multa ma ti obbligo a investirla in queste iniziative e creare un percorso guidato per migliorarle ed estenderle».
L’Inter rivendica di essere stata la prima ad aprire lo stadio ai ragazzi delle scuole calcio, 160.000 giovani nerazzurri con accesso libero a San Siro negli ultimi nove anni. La prima volta, marzo 2004, furono loro a stemperare un clima greve di contestazione, ospiti in diecimila per il match di coppa Uefa con il Sochaux.
La Juve si lamenta per il provvedimento del giudice e il presidente del Coni Giovanni Malagò le dà ragione: «Avrei evitato la sanzione perché così si mette sullo stesso piano il comportamento di gruppi organizzati e quello dei bambini che vanno allo stadio per la prima volta con allegria». Ma per Pancalli «la multa serve per far capire anche ai ragazzi che hanno creato un danno alla società, altrimenti la dimensione educativa si perde». «Un segnale forte e giusto» anche per la psicologa Marisa Muzio, ex nuotatrice azzurra che negli anni ‘90 ha avviato, insieme a Sandro Gamba, il primo master di psicologia sportiva in Italia. «Oggi con i social network possiamo creare una rete di educazione sportiva collegando società, scuole e famiglie». Così ha dato il via nei giorni scorsi al sito www.flowacademy.it, gestito con altri personaggi di spicco «per parlare delle belle storie di sport giovanile, visto che di solito emergono solo quando ci sono problemi». Illuminante la provocazione di Davide, tredicenne mezzala e tifoso juventino: «Al posto dei ragazzi dovrebbero mandare in curva i pensionati. Se anche loro insulteranno gli avversari, vuol dire che non è questione di età, ma che il calcio è fatto così». «Magari — suggerisce Conte — la prossima volta si potrebbe gridare bravo al rilancio del portiere». Il 14 dicembre a Torino si replica. Il portiere del Sassuolo Gianluca Pegolo è pronto a tutto, perfino a sentirsi dare del «bravo» dai tifosi avversari.
Federico Pistone