Enrico Sisti, la Repubblica 6/12/2013, 6 dicembre 2013
DA RUSH A BEST E DI STEFANO QUEI GRANDI ESCLUSI DALLA COPPA
«Mio padre giocava col Flint Town, era un bravo giocatore che non sognava niente di più di quello che poteva offrirgli il calcio dilettantistico. Alla sua epoca il Galles riuscì a qualificarsi per i Mondiali del ’58 e a casa nostra, eravamo dieci figli, il mito divenne John Charles, che andò in Svezia nel torneo che fece scoprire al mondo Pelè». Ian Rush (in questo antesignano rassegnato di Giggs e Bale) non ci ha più creduto: «Che potessi arrivare a un Mondiale con il Galles. Mio padre mi diceva: stai attento, ragazzo, se è quello il tuo vero obiettivo ti bruci l’anima». Rush, il più grande attaccante del calcio gallese, seguì l’altro sogno di papà: giocare nel Liverpool. Ma non avrebbe mai disputato un mondiale. E’ una delle star del “vorrei ma non posso”, Almeno dieci grandi calciatori del passato, con una storia ingombrante, a volte eccezionale, alle spalle, non ce l’hanno fatta. Il Mondiale non era per loro. Alcuni lo hanno visto, lo hanno quasi toccato e poi, puf!, è sparito, come un miraggio. George Best era quasi il “quinto Beatles”, ma ha collezionato soltanto 37 presenze in nazionale. La sua Irlanda del Nord vanta tre partecipazioni mondiali, ma tutte fatalmente lontane dai giorni migliori di Best. C’è un amaro finale: quando l’Irlanda del Nord arrivò ai mondiali del 1982 c’è chi in federazione pensò di richiamarlo: Best aveva 36 anni ma ne dimostrava 50. La proposta decadde. Rimpianto di Alfredo Di Stefano: «Un ricordo atroce: non avere “quel” ricordo». L’uomo delle tre nazionali (Argentina, Colombia, Spagna) è stato per anni schiacciato dall’imbroglio burocratico fra Argentina, Colombia e Fifa. Quando nel ’58, ormai spagnolo, pareva pronto per il Cile lo tradì la sua stessa squadra, che non si qualificò. Nel ’62 era in rosa e si fece male prima dell’inizio del torneo. Destino. Al suo amico Kubala l’occasione capitò nel ’54, ma la qualificazione della Spagna finì in farsa. Nel ’62 aveva già smesso (piccola consolazione: allenò la Spagna nel ’78 in Argentina). Molto soffrì il “pompiere” Gunnar Nordahl. Avrebbe voluto spegnere gli ardori degli avversari. Nel ’48 vinse le Olimpiadi con Gren e Liedholm ma non bastò per sgretolare le vecchia nomenclatura per i mondiali del ’50. Nel ’58 Liedholm c’era e segnò anche in finale, c’era anche Gren. Ma Gunnar aveva appena appeso le scarpe al chiodo più alto dopo aver giocato con la Roma. Era un centrocampista moderno, esaltò Real Madrid, Barcellona e Atletico, ma per Bernd Schuster niente mondiali, nemmeno di struscio. Però vinse l’Europeo del 1980. I dirigenti tedeschi comunque lo detestavano. E lui smise di giocare a 24 anni. Ricordando anche Litmanen, Berbatov e i tanti azzurri che hanno fatto parte di spedizioni senza toccare palla (Pruzzo, Vierchowod, Mancini, i portieri), chiudiamo con George Weah e Eric Cantona: il primo è stato penalizzato dal paese di origine, la Liberia, sempre così lontana dal poter solo immaginare una qualificazione. Cantona ha avuto una vita da “bleus” mal sincronizzata. Comparve agli Europei del ’92 e la Francia non andò a Usa ’94 provocando un tormentone di polemiche su Houllier. Cantona fu epurato. Nel ’98 con la Francia campione era da tempo fuori dalla nazionale. Anche per il “kung fu” allo spettatore di Selhurst Park (gennaio ’95).