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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

LA SENTENZA NON INCIDE SUGLI EFFETTI DELLA LEGGE


Lo scarno comunicato della Corte costituzionale che annuncia la decisione assunta sulla legge elettorale – ma che diventerà efficace solo con la pubblicazione della sentenza con le sue motivazioni – non consente al momento di stabilire con totale precisione quali saranno gli effetti della pronuncia. Certo è che la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità di due aspetti della legge attuale: la previsione del premio di maggioranza (non subordinato ad un risultato minimo della lista o della coalizione vincente, e al Senato per di più attribuito regione per regione), e la previsione di un voto di lista, nelle ampie circoscrizioni attuali, "bloccate", cioè senza possibilità per l’elettore di esprimere preferenze fra i candidati della lista prescelta.
Il primo aspetto era quasi scontato, una volta che la Corte avesse superato, come evidentemente ha fatto, gli ostacoli di ordine procedurale che si frapponevano all’esame nel merito delle questioni (forse facendo leva sulla necessità di non lasciare che la legislazione elettorale costituisca una "zona franca" dal controllo di costituzionalità); un premio di maggioranza fisso, tale da dare la maggioranza assoluta dei seggi della Camera alla coalizione che abbia un voto in più delle altre, quale che sia il livello del consenso raggiunto, appare difficilmente compatibile con la stessa ragion d’essere delle libere elezioni e con il principio di rappresentatività dell’elettorato. Questo "difetto" era già stato segnalato in passato, "incidentalmente", dalla stessa Corte.
Più dubbio è il fondamento della seconda censura, che pur colpisce certo uno degli aspetti più "invisi" agli elettori, cioè il monopolio degli apparati di partito nella scelta dell’ordine di elezione dei candidati della lista. Liste bloccate o candidature uniche per ogni partito o coalizione (come nel caso dei collegi uninominali) non sono necessariamente incostituzionali: nel caso dei collegi uninominali l’elettore è messo in condizione di scegliere se votare o no ciascuno dei candidati singoli che i vari partiti o gruppi presentano; sistemi di liste bloccate "brevi" o impiegate solo per l’attribuzione di una parte dei seggi (come accadeva con la legge Mattarella, e perfino nel collegio nazionale per il recupero dei resti previsto nel sistema proporzionale con cui fu eletta a suo tempo l’Assemblea costituente) non sono certo, a loro volta, incompatibili con il principio della rappresentanza politica.
Gli effetti immediati che produrrà la sentenza li potremo misurare meglio con la pubblicazione di questa. L’abolizione del premio di maggioranza di per sé potrebbe avere il risultato di dar vita ad un sistema interamente proporzionale (salve le piccolissime soglie di sbarramento oggi previste). Meno chiaro è se la pronuncia sulla assenza del voto di preferenza sarà tale, in assenza di nuovi interventi legislativi, da consentire un’applicazione della legge con l’innesto della preferenza, o se a questo riguardo si creerà un "vuoto" destinato necessariamente ad essere riempito da un intervento del legislatore.
In ogni caso, ciò che è certo è che la sentenza della Corte non costituirà alcuna indicazione "preferenziale", tanto meno un vincolo per il Parlamento a legiferare "sotto dettatura", nella scelta di uno od altro sistema elettorale (proporzionale o maggioritario o misto, con le infinite varianti e modalità possibili). La pronuncia, come è nella sua natura, avrà solo un effetto "demolitorio", facendo venir meno ciò che era incostituzionale nella legge attuale, ma non avrà alcun effetto vincolante per le scelte future del Parlamento (se non quello di impedire la riproduzione del sistema cancellato). Perciò già da oggi, senza bisogno di attendere le motivazioni, il Parlamento può – e deve – attivarsi per definire gli accordi necessari a delineare il nuovo sistema elettorale. È già singolare che si sia aspettata una sentenza, che sancisce formalmente un difetto di costituzionalità, per fare una riforma considerata da tempo e ampiamente necessaria.
Nel frattempo, non ha ragion d’essere dal punto di vista costituzionale il timore, o la tesi accusatoria, secondo cui questo Parlamento, eletto (al pari dei due precedenti) in base alla legge Calderoli, sia da ritenersi inficiato nella sua legittimità. La sentenza della Corte farà cessare l’efficacia delle norme dichiarate incostituzionali, ma non inciderà sulle applicazioni di esse avvenute in passato e non più soggette a giudizio, né quindi sulla legittimità formale del Parlamento in carica e tanto meno sulla legittimità delle sue deliberazioni passate e future. Altro è il tema della legittimazione "politica" del Parlamento e del Governo in carica. Su questo, come sulle scelte in tema di sistema elettorale, si apre solo una nuova – e speriamo ultima – fase affidata alla responsabilità e alla capacità di dialogo e – sì – di compromesso (in senso alto) di tutte le forze politiche.