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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

COSÌ SCATTA IL SISTEMA A UNA PREFERENZA


Un sistema proporzionale puro con sbarramento al 4% e la possibilità di indicare una preferenza. Sbarramento a parte, è la legge elettorale con cui si è votato per tutta la Prima repubblica fino alle elezioni politiche del 1992. Questi gli effetti della decisione di ieri della Corte costituzionale se si dovesse tornare alle urne senza una nuova legge elettorale approvata prima dal Parlamento. La decisione della sentenza è infatti autoapplicativa. Non è un caso che nella breve nota diramata per rendere pubblica la loro decisione i giudici costituzionali abbiano sottolineato che le liste bloccate del Porcellum sono state bocciate «nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza».
Luciano Violante, ex presidente della Camera e uno dei 35 saggi che hanno relazionato il Governo proprio in tema di riforme e legge elettorale, nota che se con la loro decisione i giudici lasciassero una legge elettorale non funzionante «verrebbe meno il radicato principio secondo il quale nessun corpo elettivo può essere privo di una legge elettorale». La decisione per Violante è dunque autoapplicativa. Anche se – avverte – occorre attendere le motivazioni dei giudici costituzionali per essere certi degli effetti giuridici. I giudici si sono infatti mossi secondo due principi in parte contrastanti: da una parte la Consulta non può sostituirsi al legislatore e non può dunque emettere sentenze "additive"; dall’altra nel suo agire è appunto autovincolata dalla necessità di lasciare comunque in essere una qualche legge elettorale. Facendo riferimento all’impossibilità per l’elettore di esprimere «una preferenza» hanno scelto un’altra strada, appunto quella del proporzionale con una preferenza, che lascia aperta più di una soluzione.
In attesa delle motivazioni, il dibattito tra i giuristi si concentra sulla modalità con cui avverrà il "ripristino" della preferenza unica. Di sentenza che dovrà essere «necessariamente additiva» parla Gian Candido De Martin, ordinario di istituzioni di diritto pubblico alla Luiss di Roma, secondo cui il «ritorno delle preferenze prefigurato nel dispositivo impone che la Corte spieghi in che modo: lo indica lei, in modo da rendere la sentenza autoapplicativa? Una cosa è certa: se dovesse rinviare ad altri sistemi elettorali presenti nel nostro ordinamento, salta l’assetto della giurisprudenza della Corte». La Consulta, ricorda Giulio Salerno, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all’Università di Macerata, «è vincolata a non permettere un vuoto normativo, a garantire sempre la possibilità di andare alle urne per eleggere le Camere»; è quindi possibile che la sentenza sotto il profilo delle preferenze sia «additiva, anche se solo leggendo le motivazioni capiremo se "di principio", lasciando cioè al legislatore di provvedere all’adeguamento della normativa, o che rinvia per "analogia" ad una normativa già esistente».
«Non lo sanno nemmeno loro, i giudici», taglia corto Roberto Bin, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Ferrara, che considera il comunicato di mercoledì una specie di sortita «per valutare l’effetto politico di una bocciatura, da giustificare poi con calma sotto il profilo giuridico, magari alla luce delle reazioni». Per Bin, la Consulta «doveva certo bocciare il Porcellum, arrivati a questo punto», ma respinge l’idea di una censura inevitabile: «La Corte non doveva accettare di rispondere al quesito della Cassazione», e nel dichiarare inammissibile il ricorso «mettere alla berlina l’incapacità del Parlamento di riformare la legge». Il ricorso Bozzi, conclude, «non chiede una sentenza additiva, che dovrebbe essere basata sulla giurisprudenza del giudice rimettente, e quindi non è il caso della Cassazione, ma di principio»; perciò «sarà interessante capire come faranno i giudici: è difficile costruire un procedimento elettorale incardinato sulle preferenze basandosi su una pronuncia che non credo possa essere additiva».