Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 6/12/2013, 6 dicembre 2013
IL BRASILE ALZA LA MIRA SU TELEFONICA
Se Telefonica vuole tenere il 100% di Vivo, il primo operatore mobile brasiliano, deve rinunciare a Telecom Italia, o meglio deve sbarazzarsi di «qualsiasi partecipazione, diretta o indiretta, in Tim Brasil». La delibera dell’Antitrust brasiliano, resa nota con un comunicato ufficiale, è molto più scomoda per il partner spagnolo di Telecom di quanto si fosse immaginato. Nell’esaminare ex-post l’acquisizione da parte degli spagnoli del 50% di Vivo che era di Portugal Telecom, il Cade ha concesso solo una scappatoia: e cioè aprire il capitale di Vivo a un operatore del settore, non presente su piazza, in modo da condividerne il controllo.
Un’alternativa sicuramente inaccettabile per gli spagnoli che hanno impiegato anni a risolvere la convivenza insoddisfacente con i portoghesi in Vivo. Ma se anche Telefonica fosse disposta a ricreare una joint paritetica, c’è la seconda rata dei provvedimenti Cade a renderle complicata la vita. Il consiglio dell’Authority, infatti, ha anche confermato le conclusioni degli uffici tecnici e cioè che i patti Telco del 24 settembre sono incompatibili con gli impegni antitrust presi in Brasile nel 2010. Di conseguenza il Cade ha disposto che «l’incremento indebito della partecipazione societaria di Telefonica in Telco sia smantellato», comminando inoltre una multa di 15 milioni di reais a Telefonica per la violazione degli accordi del 2010 e di 1 milione di reais a Tim Brasil per essersi avvalsa di servizi (call center) di una società collegata al gruppo spagnolo.
A questo punto è scontato che il gruppo guidato da Cesar Alierta prenderà in considerazione di appellarsi contro la delibera del Cade, ma per i soci italiani di Telco (Generali, Mediobanca, Intesa) – rassicurati sul fatto che gli accordi di settembre non avrebbero incontrato ostacoli in Sudamerica – si fa più forte la tentazione di sciogliere la compagine e liberare dai vincoli le residue partecipazioni in Telecom, rendendole disponibili per la vendita. Si vedrà. Intanto però la Consob ha invitato ufficialmente Telefonica – ai sensi dell’articolo 114 del Tuf – a chiarire pubblicamente la propria posizione sulla pronuncia del Cade: dato che oggi è festa nazionale in Spagna, non è attesa una risposta prima di lunedì. Mentre l’ad di Telecom, Marco Patuano, ha ribadito anche ieri che Tim Brasil è strategica, il ceo della controllata carioca, Rodrigo Abreu, ha detto apertamente che «Telefonica non può forzare la vendita di Tim Brasil» e che invece «è Telefonica a dover vendere le proprie partecipazioni».
Marco Fossati, che ieri è stato nuovamente ascoltato in Consob, ha chiesto «un intervento immediato e risolutivo delle autorità di controllo italiane al fine di riconoscere il controllo di fatto di Telco su Telecom, come già fatto dalle autorità brasiliane, con tutte le conseguenze giuridiche e finanziarie del caso». Sulla stessa linea l’appello di Asati alla Consob, il cui primo intervento, già da fine settembre, era motivato dalla verifica del presupposto del controllo di fatto, ipotesi che la delibera del Cade di fatto corrobora. Se venisse accertato il controllo di fatto a carico di Telefonica, con il conseguente obbligo a consolidare i debiti Telecom, si aprirebbe una partita con la Consob spagnola, dall’esito affatto scontato. Più concreti agli occhi dell’Authority presieduta da Giuseppe Vegas appaiono invece gli sviluppi delle indagini condotte sul fronte delle operazioni con parti correlate o di operazioni rilevanti ai fini della disciplina civilistica dei conflitti d’interesse, relative alle delibere del cda Telecom del 7 e 11 novembre su convertendo e cessione di Telecom Argentina.
«È ormai evidente che la cessione di Tim Brasil non corrisponde agli interessi dell’azienda Telecom, ma a quelli di un suo azionista e concorrente qual è Telefonica – ha osservato il senatore pd Massimo Mucchetti – Sento dire di una fusione tra Vivo e Tim Brasil con la conseguente cessione di parti della combined entity agli altri operatori brasiliani. Sarebbe uno spezzatino a prezzo vile. Se l’operatore pubblico locale ne avesse un vantaggio, il Cade potrebbe avallare il pateracchio. Il Governo italiano non se ne può lavare le mani nascondendosi dietro un golden power che non si applica alle società europee».