Silvia Pieraccini, Il Sole 24 Ore 6/12/2013, 6 dicembre 2013
PRATO, ANCHE CORRUZIONE E FALSO
Si arricchisce di un nuovo tassello il mosaico di illegalità economica e criminalità organizzata che il distretto cinese dell’abbigliamento low cost di Prato ha costruito in 20 anni di vita, e che ne è allo stesso tempo causa ed effetto. Ieri alla costellazione di reati che tiene in piedi quest’unicum produttivo e lavorativo che vale due miliardi di euro (per il 50% realizzati in nero) – dal contrabbando di tessuti provenienti dalla Cina allo sfruttamento della manodopera clandestina, dall’evasione fiscale e contributiva fino al riciclaggio di denaro via money transfer – si sono aggiunti la corruzione e il falso. Ed è emerso il sistema di "favori" che ha permesso ad almeno 350 immigrati cinesi, arrivati da poco in Italia col visto turistico, di ottenere una falsa residenza e dunque una falsa carta d’identità utile per aprire un’azienda, avere un contratto di lavoro, comprare un’auto o richiedere un mutuo. «La residenza in Italia è fondamentale per poter esistere», hanno spiegato Polizia municipale e Guardia di Finanza di Prato, che hanno condotto l’indagine coordinata dalla Procura.
Otto gli arrestati (quattro italiani e quattro cinesi), almeno il doppio gli indagati per associazione a delinquere, corruzione e falso: tra gli arrestati c’è una funzionaria dell’ufficio anagrafe del Comune che evadeva le domande di residenza presentate da una "socia d’affari" (una ex dipendente comunale aiutata dai figli, promotrice e capo dell’associazione), evitando di attivare i controlli della polizia municipale sulla dimora e di far firmare al momento i documenti (visto che i richiedenti non erano presenti). L’indirizzo di residenza assegnato ai cinesi-fantasma era scelto spesso tra quelli di famiglie ignare, col risultato che a volte allo stesso indirizzo sono risultate residenti decine di persone.
A raccogliere e convogliare le richieste degli immigrati cinesi, che pagavano tangenti da 800 a 1.500 euro per ciascun certificato di residenza, c’erano sette connazionali in contatto con la promotrice-capo del business delle false residenze, alla quale versavano una percentuale. In otto mesi il sistema ha fruttato tra i 180mila e i 450mila euro di guadagni illeciti. Il cerchio sull’organizzazione si è chiuso ieri mattina con 300 vigili e finanzieri che hanno eseguito gli arresti, notificato divieti di dimora e effettuato anche decine di perquisizioni nei confronti dei falsi residenti cinesi che sono stati rintracciati, recuperando somme di denaro. Resta senza spiegazione come gli immigrati cinesi potessero disporre del permesso di soggiorno da presentare all’anagrafe di Prato per la richiesta di residenza.
«Questa è solo una tappa della strategia di medio-lungo termine per riportare il rispetto delle regole nel distretto cinese di Prato», hanno affermato il procuratore Piero Tony, i comandanti regionale e provinciale della Guardia di Finanza, Giuseppe Vicanolo e Gino Reolon, e il comandante della Polizia municipale, Andrea Pasquinelli. E Filctem-Cgil ha già annunciato che si costituirà parte civile nel futuro processo sui falsi residenti cinesi, spiegando che «l’illegalità va perseguita senza sosta né tentennamenti di sorta».
Il clima a Prato sembra dunque cambiato, dopo l’incendio nel capannone-dormitorio che domenica scorsa ha ucciso sette operai cinesi, e dopo l’impegno al rispetto delle regole assunto dal console cinese di Firenze, Wang Xinxia (si veda Il Sole 24 Ore di ieri, ndr), nel consiglio comunale straordinario indetto mercoledì in occasione del lutto cittadino. Sul fronte delle indagini sull’incendio, la procura ha ipotizzato che la lista degli indagati (quattro, tutti cinesi) possa ora allungarsi, mentre i funerali delle sette "vittime sul lavoro" slittano a dopo l’autopsia. Intanto il sindaco Roberto Cenni ha convocato per la prossima settimana un consiglio comunale dedicato alla messa a punto, con il contributo delle categorie economiche e sociali, le misure di contrasto all’illegalità cinese da proporre a Roma.