Carlo Cambi, Libero 6/12/2013, 6 dicembre 2013
ECCO PERCHÉ LA MERKEL BOICOTTA IL MADE IN ITALY
Sarà anche una signora non troppo avvenente, ma a Frau Merkel il triangolo piace eccome. La Germania è tra i paesi europei quello che di più lucra sulle importazioni parallele Extra-Ue che poi fa diventare merci comunitarie ottenendone la libera circolazione. La Coldiretti al Brennero e ieri davanti a Montecitorio con tanto di maiali al seguito ha lanciato la campagna di Natale in difesa del Made in Italy, ma a veder bene gli interessi in gioco vanno molto al di là di prosciutti e pomodori. Coinvolgono tutto il sistema manifatturiero europeo. Tanto che così come la Germania ha preteso il fiscal compact, l’Italia - può contare su solide e maggioritarie alleanze - dovrebbe imporre un industrial compact. La battaglia si gioca sull’introduzione dell’obbligatorietà di etichettatura d’origine dei prodotti europei. Ha una valenza doppiamente strategica: costringerebbe le industrie a riportare le produzioni nel continente e frenerebbe lo smottamento qualitativo dei consumi. Esattamente per questo la Germania si oppone, insieme a inglesi, olandesi e svedesi, all’etichetta d’origine obbligatoria. La crisi per i triangolatori tedeschi e del Nord Europa è infatti un ottimo affare. Con le famiglie del Sud Europa che hanno sempre meno soldi (sono di ieri i dati dell’Inps secondo cui gli italiani hanno perso in quattro anni il 9,1% di potere d’acquisto e dell’Ocsechecolloca l’Italia al top del il rischio povertà che riguarda un terzo della popolazione) offrire merci di incerta qualità e di ancor più incerta provenienza è un’occasione ghiottissima. Giova ricordare che a causa dei «nein» di Berlino l’Europa è il solo mercato che non ha l’obbligo di origine in etichetta essendo questo regime imposto negli Usa fin dal ’36, in Giappone dal ’65 e perfino in Cina a partire dal 2004. L’Ue ha per due volte ha cassato – con una chiara erosione di sovranità del nostro paese - la legge italiana per il 100% made in Italy mettendoci sette anni a motivare il rifiuto, e per due volte la Commissione ha fatto marcia indietro sull’origine obbligatoria. Ma il 23 ottobre scorso finalmente il Parlamento di Strasburgo ha dato il via libera in commissione al regolamento che apre la strada all’etichettatura d’origine. Con l’Italia in prima fila il regolamento ha ottenuto 27 voti favorevoli, 5 contrari (olandesi e inglesi) e 7 astenuti tra cui i tedeschi costretti al profilo basso da una vicenda poco edificante: quella dei limiti alle emissioni delle auto che Berlino ha bloccato per fare gli interessi dei suoi costruttori che hanno foraggiato il partito della Merkel. A favorire questo primo parzialissimo via libera è stato il rapporto «sulla sorveglianza del mercato interno» stilato dall’europarlamentare finlandese Sirpa Pirtikainen secondo la quale «oltre il 90% dei prodotti che entrano sul mercato europeo non è controllato da nessuno. Questo vuol dire che ne circolano troppi che non sono sicuri». Ma perché la Germania si oppone? Perché su circa 250 miliardi di dollari (stime Ocse) di giro d’affari d’importazioni parallele nel mondo circa un quarto (60 miliardi di dollari) transita per la Germania e per i porti del Nord Europa. E non c’è solo questo. Se passasse la totale tracciabilità delle merci si scoprirebbe che molti marchi al top della Germania, sia in campo automobilistico che tecnologico e meccanico, di tedesco hanno solo la firma. Ma l’Europa a trazione tedesca non può pretendere rigore sui conti e lassismo sulle merci. Ce n‘é abbastanza per mettere in atto misure nazionali di protezionismo che peraltro compenserebbero alcuni settori dove la Germania mantiene chiuso il proprio mercato nazionale come ha rilevato lo stesso presidente della commissione europea Barroso. Per esempio si potrebbe differenziare l’Iva (azzerandola sui prodotti Dop e Igp che sono certamente di origine nazionale) o incrociare in campo agricolo i dati sulla denuncia delle produzioni primarie ammesse a sostegno con le quantità di prodotti trasformati. Lo snodo però è la regolamentazione del mercato interno europeo collegando strettamente la battaglia sull’etichettatura d’origine con l’inchiesta sul surplus commerciale della Germania. L’Italia ha l’occasione per segnare più di un punto in suo favore visto che avrà la presidenza europea tra qualche mese. Ponga come questioni prioritarie l’industrial compact collegato con l’obbligatorietà d’origine. Vedremo se almeno stavolta per sostenere le nostre produzioni e difendere i cittadini-consumatori saremo in grado di dire a Frau Merkel: il triangolo no!