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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

LO STRANO DESTINO DELLE PREFERENZE OGGI LODATE, IERI ACCUSATE DI MAFIA


A perpetua conferma di quanto sia ferrea a sinistra l’osservanza della regola dei vent’anni (quella in forza della quale si riconosce con due decenni di ritardo che certe cose bollate lì per lì come aberranti tanto schifo, a ben guardare, poi non facevano), soccorrono le grandi celebrazioni tributate al ritorno delle preferenze.
Ora che la Consulta ha certificato che le liste bloccate non possono avere cittadinanza nella patria della Costituzione più bella del mondo, è tutto un saltare di tappi: politici, opinionisti, maître à penser fanno a gara a commuoversi per la ricomparsa della preferenza, per l’eletto che ritrova il legame col territorio e l’elettore che ritrova la fiducia nel proprio rappresentante, per il ritorno della buona politica contro le fumisterie personalistiche dei partiti carismatici, per il vulnus democratico finalmente sanato.
Peccato solo che si tratti, in buona misura, degli stessi politici, opinionisti e maître à penser che vent’anni fa giusti - correva il ruggente ’93 - avevano propiziato e celebrato con pari enfasi il completamento dell’opera di rottamazione delle preferenze avviatasi col referendum del ’91. Le preferenze, all’epoca, erano diventate il totem del malgoverno democristiano: inquinavano il voto, erano l’instrumentum regni di capibastone e signori delle tessere dalla dubbia moralità, impedivano il rinnovamento della politica e lasciavano il potere in mano alle segreterie dei partiti togliendolo al cittadino. Ricapitolando: prima si fa la mobilitazione per togliere le preferenze perché sennò trionfa la mafia, poi si celebra la scomparsa delle preferenze al grido di mai più mafia, poi si fa la mobilitazione per far tornare le preferenze perché sennò trionfa la mafia, poi si celebra la ricomparsa delle preferenze al grido di mai più mafia. Linearissimo.
Lineare più o meno come l’atteggia - mento di quanti (e - sorpresa - il mazzo in cui pescare resta sempre quello dei sapientoni di sinistra) salutano il possibile ritorno del Mattarellum come toccasana per la costituzionalità delle leggi elettorali ferita a morte dalla riforma Calderoli. Ignorano forse che - pronuncia della Consulta alla mano - il Mattarellum non è né più né meno incostituzionale del suo successore: la legge del ’93, infatti, prevede una quota proporzionale del 25%, da esperirsi mediante listini bloccati. Cioè gli stessi listini che nel Porcellum assegnano il 100% dei seggi e che la Suprema Corte ha dichiarato incostituzionale. Senza contare l’elemento internazionale: quando fu fatta la riforma, degli italiani all’estero importava poco e nessuno si era preoccupò di inserire nella riforma norme per fare sì che costoro potessero votare. Oggi, che il diritto all’elettorato attivo e passivo degli italiani all’estero vada tutelato è opinione comune. Reinstallare una legge che non ne prevede l’esistenza, esporrebbe l’intero impianto a pericoli mortali: basterebbe un ricorso da parte di un espatriato che lamentasse la scomparsa di un diritto che la precedente legge gli garantiva per fare sì che l’intera legge rischi di essere a sua volta dichiarata incostituzionale.
M. G.