Ugo Bertone, Libero 6/12/2013, 6 dicembre 2013
IL FLAGELLO CHE DETTA LEGGE IN EUROPA HA GIÀ SFASCIATO L’OLANDA E CIPRO
Per promuovere la finanziaria lacrime e sangue di quel bravo ragazzo del responsabile delle Finanze olandese, a giugno si era mobilitato Olli Rehn in persona. C’era lui, il commissario Ue, al fianco del presidente dell’Euro - gruppo quando nello scorso giugno il ministro Jeroen René Victor Anton Dijsselbloem aveva convocato la stampa per spiegare come, a suon di tagli, finalmente il deficit olandese sarebbe rientrato entro il tetto del 3% nel 2014. A crederci, probabilmente erano in due: lo stesso Dijsselbloem e Rehn che, al pari della Germania, aveva investito molto in quel politico dei Paesi Bassi, laurea in economia agraria, che un suo collega del Parlamento olandese, Bors van der Ham, ha descritto così: «Lui a Bruxelles? Pensate a una stanza piena di gente che fa festa, bevendo birra e liquori. Poi arriva uno che beve un bicchiere di latte...». Gli altri, dalla banca centrale che riteneva i suoi conti troppo ottimistici, agli economisti che denunciavano il rischio di una recessione drammatica se le famiglie avessero dovuto stringer ancor di più la cinghia, la pensavano in maniera diversa.
A ragione, se va dato credito a quel che dice Standard & Poor’s: «Le prospettive di crescita dei Paesi Bassi sono ora più deboli di quanto avevamo previsto in precedenza e la crescita del Pil pro capite è inferiore a quella di altri paesi con livelli di sviluppo economico simili» . Tripla A addio, dunque, perché di fronte a certe cifre non si può discutere. L’Olanda, sotto la terapia di herr Dijsselbloem di Eindhoven, ha tagliato spese con il machete: 45 miliardi nell’ultimo esercizio. Il risultato? Una bella recessione doc. I consumi sono scesi del 2,5 per cento, il Pil ha subito un’emorragia dell’1,25% che va ad aggiungersi ad una lunga stagione stagione di recessione perdurante dal 2008. E la situazione è ancor meno allegra se si guarda al patrimonio. Certo, il debito pubblico è sotto controllo (solo il 72 per cento del Pil), in cambio le famiglie olandesi hanno sul groppone mutui insostenibili dopo lo sboom della bolla immobiliare. In media il 300 per cento di debiti per ciascun nucleo familiare.
Dati questi numeri, c’è da chiedersi perché l’Olanda possa finanziarsi a tassi assai più favorevoli di Italia e Spagna. Ma qui si entra nei misteri dell’eurozona, in cui da sempre i rappresentanti olandesi hanno svolto ruoli preziosi nelle strategie tedesche, a partire da Wim Duisemberg, ottimo giocatore di golf e grande esperto di whisky di malto che la Bundesbank volle come primo, non ingombrante, presidente della Bce. E così, quando si è trattato di sostituire il lussemburghese Jean-Claude Juncker, furibondo per la gestione della crisi greca imposta dai tedeschi, Berlino ha giocato la carta olandese. Non è stata una nomina facile, viste le perplessità spagnole e l’aperto scetticismo di Jean Pierre Moscovici di fronte ad un candidato che, in patria, fino al 2007 si era occupato di pubblica istruzione piuttosto che di economia. Ma, si sa, quando il gioco si fa duro, Wolfgang Schaeuble e Angela Merkel sanno farsi sentire. E di proposte italiane, al solito, non c’è traccia.
E così Dijsselbloem è salito al vertice dell’Eurogruppo, la struttura che riunisce i ministri delle Finanze dell’Eurozona.
Vedrete che, noioso com’è, non farà danni, assicuravano i colleghi di partito ricordando che a suo tempo il segretario dei socialisti olandesi gli aveva suggerito, invano, di sorridere qualche volta, davanti alle telecamere. Ma, come spesso capita, la carica fa l’uomo. A febbraio il ministro delle Finanze è andato alla carica, a testa bassa, contro la Sns Reaal, la quarta banca dei Paesi Bassi, gravemente esposta sul fronte dei mutui immobiliari. Per la prima volta, anche gli obbligazionisti, oltre agli azionisti, sono stati chiamati a partecipare alle perdite dell’istituto, risanato con l’intervento pubblico. Era la prova generale dell’operazione Cipro, ovvero il blitz che ha imposto che le perdite venissero spalmate anche sui correntisti, oltre che sui portatori dei bond ed i soci. Si tratta di un caso particolare, che non fa testo, continuavano a ripetere in quei giorni i funzionari dell’Unione Europea: Cipro è una base di denari equivoci, ove non ha senso tutelare come piccoli risparmiatori capitali di rapina. Vero, salvo che il giulivo Dijsselbloem, accecato dai riflettori, andò a dichiarare l’opposto: d’ora in poi il metodo Cipro sarà la regola.
E adesso, chi c’è tra gli architetti dei contratti di stabilità che potrebbero rappresentare la futura gabbia europea per il nostro Paese? Esatto, lui. Altro che noioso. Perfino alla Bundesbank hanno pensato che fosse il caso di frenare i bollenti spiriti del capo dell’Eurogruppo che, per un po’ si è concentrato con i risultati che sappiamo sui conti di Amsterdam. Ma il metodo Dijsselbloem sta per tornare buono, ora che si apre uno dei capitoli più delicati dell’Unione bancaria: chi dovrà pagare i conti degli eventuali dissesti? Mario Draghi ha messo in guardia dall’applicare criteri meccanici a danno dei portatori di obbligazioni: in Italia le obbligazioni bancarie sono un comune strumento di risparmio che riguarda i piccoli. Guai a creare nuovi stress ed ansie senza ragione. Ma Dijsselbloem non la pensa così: paghino i privati, poi gli Stati. Solo alla fine scatteranno i fondi parcheggiati nell’Ems, di cui, guarda caso, il presidente è lui, il ministro delle Finanze che ha perduto la tripla A.