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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

COSÌ ATTIREREMO I CAPITALI STRANIERI


[Pietro Ichino]

Professor Ichino, il nuovo Codice del lavoro che lei propone dovrebbe contare 70 articoli in tutto in sostituzione delle centinaia di leggi di fonte nazionale sulla materia attualmente in vigore. È davvero possibile una semplificazione di questa portata?
«Senta, sulla prima versione di questo Codice semplificato, presentata in Senato nel 2009, si sono svolti centinaia di incontri e dibattiti, in sede universitaria, sindacale e politica. Su singoli punti del disegno di legge sono emersi dei dissensi, da sinistra o da destra, ma nessuno ha sostenuto che l’impianto non regga. Nell’agosto scorso ho presentato la nuova versione, ora contenuta nel disegno di legge n. 1006, che tiene conto di tutto quel dibattito. Mi sembra che questo significhi almeno una cosa: l’operazione è possibile e l’impianto tecnico della proposta è corretto e solido».
Non c’è il rischio che questa sia una bella esercitazione intellettuale, un bel libro dei sogni, destinato però a non superare le opposizioni politiche di vario segno?
«No. Il 10 novembre 2010 il Senato votò quasi all’unanimità una mozione che impegnava il governo a varare un testo unico semplificato ispirato proprio alla mia proposta. Nel settembre scorso il governo ha incominciato a dare corso a quell’impegno collocando il Codice semplificato del lavoro tra le misure più importanti indicate nel documento Destinazione Italia, considerate indispensabili per aumentare l’attrattività del nostro Paese per gli investitori stranieri. Nel frattempo, Matteo Renzi ha fatto proprio questo progetto come parte prioritaria del suo programma per le primarie Pd dello scorso anno e per quelle di quest’anno. Mi sembra dunque che il progetto non sia maturo soltanto sul piano tecnico, ma anche su quello politico. Certo, le resistenze sono ancora molte; ma non insuperabili ».
Chi si oppone?
«Soprattutto una larga parte degli uomini di apparato e la parte peggiore dei consulenti. La complicazione burocratica e l’illeggibilità delle norme sono fonti rilevantissime di potere e di rendita per loro. Complicazione e illeggibilità fanno di loro i sacerdoti esclusivi dei sacri misteri: rendono indispensabile la loro mediazione per l’interpretazione e l’applicazione delle norme».
Come funziona questa semplificazione? È soltanto una formulazione più semplice delle norme attuali, o una profonda modifica del contenuto di queste norme?
«In parte si tratta soltanto di una formulazione più semplice e concisa delle norme attuali. Per esempio, in materia di limiti di orario di lavoro, di somministrazione di lavoro temporaneo, o di trasferimento di azienda. In altri casi, per esempio in materia di contratto a termine, o di lavoro a tempo parziale, il progetto prevede invece un allineamento della nostra disciplina interna agli standard europei e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro: qui la proposta è di una legge più essenziale, meno intrusiva, che restituisca spazio alla contrattazione collettiva e a quella individuale. In altri casi ancora, il progetto prevede proprio una drastica semplificazione concettuale della normativa, per esempio su tutta la materia dei cosiddetti “contratti atipici”; una riforma ispirata ai migliori modelli della flexsecurity europea. Soprattutto in materia di licenziamenti, di Cassa integrazione e di sostegno a chi perde il posto...».
... dove il suo progetto propone una grande flessibilità nei primi due anni dall’assunzione, poi dal terzo una tutela della stabilità gradualmente crescente. Davvero ritiene che i tempi siano maturi perché l’assetto attuale venga superato in modo così radicale?
«Capisco bene il suo dubbio. Però la situazione a cui siamo arrivati è sotto gli occhi di tutti: un mercato del lavoro infartuato; e solo un contratto di lavoro ogni sei che vengono stipulati è a tempo indeterminato. La nuova generazione è quasi del tutto esclusa dal vecchio sistema di protezioni. D’altra parte, il progetto prevede che la nuova disciplina del licenziamento si applichi solo ai nuovi assunti. Dunque, non si tocca chi il lavoro stabile lo ha già. Ma si consente al sistema economico di ripartire con regole più moderne e che offrono a chi entra da qui in avanti condizioni di lavoro molto migliori rispetto a quelle che gli si offrono oggi. Vorrei però precisare una cosa».
Dica.
«Se vogliamo mantenere la disciplina attuale della materia, anche questa può essere espressa in modo molto più semplice: si possono, cioè, ridurre le 38 leggi vigenti in materia di Cassa integrazione guadagni a un solo articolo; e le cinque leggi vigenti in materia di licenziamenti a due articoli».
Su questo terreno che accoglienza si aspetta dai sindacati?
«Da parte della Uil questo progetto ha già avuto un endorsement esplicito, a firma di Luigi Angeletti, il 7 novembre 2011. Posso capire che invece, soprattutto da parte della Cgil, ci sia un atteggiamento di diffidenza, se non di aperta ostilità. Ma io conto sull’appoggio diretto della grande maggioranza dei lavoratori ».
Che cosa avrebbero da guadagnare i lavoratori?
«Sono loro per primi a sopportare i costi di transazione generati dalla legislazione attuale, a vederla utilizzare nel modo peggiore dalla parte peggiore di loro, a soffrire dell’effetto depressivo che ne deriva sui livelli occupazionali. Perché, vede, non c’è legge, non c’è sindacato, avvocato, ispettore o giudice del lavoro, che possa offrire al lavoratore una difesa della sua libertà, dignità e sicurezza economica e professionale migliore rispetto alla possibilità di andarsene dall’azienda che lo tratta male, potendo sceglierne un’altra che gli offre condizioni migliori. Questo deve essere l’obiettivo fondamentale del sistema di protezione. Una protezione centrata sulla facilità e sicurezza nel passaggio da un posto di lavoro all’altro, non sull’ingessatura del rapporto di lavoro».
La collaborazione con Michele Tiraboschi su questo progetto cosa è destinata a ottenere? Se non sbaglio vi siete dati 100 giorni per arrivare a una piattaforma condivisa…
«Vogliamo approfondire lo studio critico del progetto, anche aggiungendo la proposta di soluzioni alternative sui singoli punti, purché sempre coerenti con il “formato”, cioè con l’intendimento fondamentale di semplificazione e allineamento ai migliori modelli che ci si offrono nel panorama internazionale. E poi valorizzare la collaborazione di centinaia di giuslavoristi che hanno risposto con entusiasmo al nostro appello di due settimane fa».
Il nuovo codice semplificato permetterebbe di ridurre il contenzioso giudiziale in materia di lavoro?
«Questo è uno degli obiettivi. Dobbiamo riuscire ad allineare anche il nostro tasso di contenzioso giudiziale - oggi assolutamente troppo alto - a quello dei Paesi centro e nordeuropei. Ne deriverebbe anche un contributo al migliore funzionamento della giustizia. E sappiamo quanto questo incida sulla propensione delle multinazionali a investire in Italia».