Emanuele Scarci, Il Sole 24 Ore 6/12/2013, 6 dicembre 2013
MADE IN ITALY IL 72% DEGLI INGREDIENTI
MILANO Nella lotta alla contraffazione siamo schierati in prima fila e anche nella tracciabilità delle materie prime non ci siamo mai nascosti, siamo europeisti convinti ma non amiamo le fughe in avanti: seguiamo le norme Ue sulle etichettature mano a mano che vengono rilasciate e i prodotti italiani, anche quando utilizzano materie prime estere, sono eccellenti. Filippo Ferrua, presidente di Federalimentare, non rinuncia a replicare alle "osservazioni" di Coldiretti, anche ieri impegnata in una manifestazione a Roma. Ferrua chiarisce anche alcuni aspetti persi nel polverone mediatico sul falso made in Italy e non rinuncia a qualche puntura di zanzara. «L’indicazione in etichetta sulla provenienza delle materie prime va chiesta a Bruxelles e non a Roma. E di questo se ne potrebbe occupare anche il ministro De Girolamo. Oltre a chiedere sostegno per la modernizzazione dell’agricoltura italiana e renderla più competitiva rispetto ad alcuni Paesi europei». Poi il presidente di Federalimentare sottolinea che «se si vuole il prodotto 100% italiano c’è già: le Dop. Ma queste rappresentano appena il 10% del giro d’affari». Oggi, secondo l’ufficio studi di Federalimentare, il 72% delle materie prime utilizzato è di provenienza nazionale e, nel 2013, il giro d’affari dell’industria alimentare sarà di 133 miliardi (30 miliardi quello dell’agricoltura), con 27 di export.
Dal fronte opposto il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo dichiara al Sole 24 Ore: «Noi non accusiamo nessuno, nemmeno l’industria: vogliamo solo che la provenienza territoriale delle materie prime sia riportata in etichetta. Bruxelles? Certo, il ministro De Girolamo sosterrà la battaglia che passa dall’attuazione delle norme italiane e dalle azioni concrete sulla Ue, e in tempi rapidi».
Sulla sicurezza alimentare, ieri Lisa Ferrarini, presidente di Assica, i produttori delle carni e dei salumi, ha dichiarato a Radio 24: «Ogni giorno 6.500 imprese italiane ricevono 2,8 milioni di analisi di autocontrollo, circa un miliardo di analisi l’anno. Secondo voi, aziende come quelle dell’agroalimentare italiano, che hanno fatto grande il nostro agroalimentare nel mondo, potrebbero scherzare con la sicurezza?». Poi Ferrarini respinge «ogni strumentalizzazione del concetto di sicurezza per finalità diverse, che nulla hanno a che vedere con quello che sostiene la Coldiretti. Sostiene che l’etichettatura è sicurezza alimentare: può esserne una parte, ma i controlli sono tantissimi».
Ferrarini non lo cita, ma nel nostro Paese c’è l’endemico problema della malattia vescicolare del suino e la peste suina africana in tre regioni che per anni ci ha impedito - per le barriere sanitarie erette dagli altri Paesi, Usa in testa - di esportare gli insaccati a breve stagionatura. Questa piaga che non si riesce a debellare (non si sa per colpa di chi) ha un costo salato: il mancato export è stimato in 250 milioni. «Si attivino – aggiunge Ferrua – i ministeri della Sanità e delle Politiche agricole».
Poi Ferrua spiega che l’import di carni, di caffè, di olive, di latte, di grano «è necessario a causa dell’insufficienza della produzione nazionale. Per esempio, celebriamo nel mondo l’espresso italiano, ma nel nostro Paese non si produce un solo chicco di caffè. Eppure l’espresso è parte integrante dell’italian life». Il segreto sta nella lavorazione del prodotto e nella preparazione.
Uno dei problemi che potrebbero colpirci se all’estero passasse il messaggio che made in Italy equivale a "prodotto taroccato" è un irreparabile danno d’immagine e il calo delle esportazioni. «Sì – ammette Ferrua – è un pericolo che si corre se si continua a pigiare lo stesso tasto. Ci facciamo del male da soli. Eppure il potenziale di sviluppo dell’agroalimentare italiano è consistente e darebbe benefici diffusi: la Germania, che non ha una grande tradizione, esporta il 30% della produzione agroalimentare; l’Italia, pur in crescita da anni, è ancora al 20%».
Moncalvo non sembra cercare la contrapposizione e ribadisce: «Ci va bene che l’industria utilizzi materie prime estere, non siamo protezionisti e siamo favorevoli al libero mercato. Tuttavia si rispetterebbe solo il consumatore specificando il luogo di provenienza del latte, dei suini, delle arance e dei pomodori».
Il giovane presidente di Coldiretti sottolinea che oggi «in Italia due prosciutti su tre provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna senza che questo venga evidenziato chiaramente in etichetta. Un inganno, secondo Coldiretti, per i consumatori e un danno per gli allevatori italiani, impegnati a rispettare rigidi disciplinari di produzione per realizzare carne di altissima qualità che non ha nulla a che fare con quella importata. All’estero per l’alimentazione dei maiali si usano sottoprodotti».
Dalla conferenza della Wto a Bali, ieri il vice ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda, ha commentato che «é importante che ci sia una componente italiana nella lavorazione dei prodotti del made in Italy alimentare, che ne sia tracciata la qualità e si sappia da dove vengono. Il Parlamento può cambiare le leggi, ma, nel 2013, pensare di vincere sui mercati mondiali con forme d’autarchia non ha senso».