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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

CON L’ENCYCLOMEDIA DI ECO RICOSTRUIAMO LA STORIA DI UN’EUROPA MAI VISTA


Di Corrado Passera i giornali hanno esplorato trent’anni di ruoli manageriali, mentre più di recente si sono soffermati sul ruolo di tecnico montianamente salito in politica. L’esperienza prima appassionata e poi frustrante di superministro del governo Monti e soprattutto il successivo gran rifiuto della candidatura in Scelta Civica lo hanno reso oggetto di illazioni, tra chi lo suppone in attesa di prestigiosi incarichi aziendali e chi lo immagina impegnato ad assumere un ruolo politico di cui ancora non si capiscono i contorni. Anche la sua vita famigliare non è passata inosservata: l’incontro con la bella Giovanna Salza, due bambini, il nuovo matrimonio con ricevimento a Villa d’Este, celebre albergo di cui la famiglia Passera è stata azionista, hanno impresso all’ex banchiere il brivido inconsueto della notorietà mondana. A questi versanti dell’esperienza umana e lavorativa di Passera va aggiunto un ruolo meno noto, quello di editore di Encyclomedia, un’enciclopedia multimediale che racconta la civiltà europea dall’antichità a oggi attraverso la sua storia politica, economica, scientifica, filosofica, architettonica, artistica, letteraria e religiosa. A capo dell’ambizioso progetto, appena portato a termine, c’è Umberto Eco, che ha coordinato il lavoro di 300 studiosi. Le 40.000 schede intertestuali di Encyclomedia, i 3.000 saggi brevi, le 10.000 immagini, i filmati, i diagrammi e le cronologie mettono in relazione le diverse discipline nei loro rapporti di contemporaneità o nella profondità dello spazio temporale, e sono un prodotto sinora unico al mondo, concepito e prodotto in Italia, pronto per essere tradotto in inglese.
Da lei ci aspettavamo che raddrizzasse l’economia, non le nostre carenze culturali. Come le è venuto in mente di dedicarsi a un progetto così lontano dalle sue esperienze lavorative?
«Colpa, anzi merito, di una frustrazione che porto con me dai tempi del liceo classico, l’ottimo Volta di Como. Allora come oggi sentivo la mancanza di un insegnamento che anziché separare le varie discipline le integrasse. Se ti viene la curiosità di collegare Kant a Napoleone e Cartesio a Caravaggio non esiste un testo scolastico in grado di farlo. E nemmeno il web, così dispersivo e pieno di informazioni non verificate, può darti questa soddisfazione».
Encyclomedia sostituisce le enciclopedie che hanno troneggiato nei salotti di tutte le famiglie sino a pochi anni fa?
«Non è la stessa cosa, questo è un progetto multimediale. A differenza dell’impostazione cronologica dei libri di testo, o di quella alfabetica delle enciclopedie, Encyclomedia è duttile, può essere consultata in modo dinamico. L’abbiamo pensata oltre che per un uso privato anche per quello scolastico. Un professore non soddisfatto dei testi standard può comporre un libro di testo su misura per i suoi studenti, aggiungendo contributi suoi o di altri».
Raccontata così, sembra utile anche agli scrittori di narrativa storica, sempre a caccia di dettagli veritieri e inconsueti.
«Proprio così. Ci sono ricostruzioni e animazioni, atlanti storici che si modificano mentre il cursore scorre sulla barra del tempo. Se vuoi sapere cosa ti sarebbe successo nel 1600 ad Anversa, cosa si ascoltava e leggeva e pregava, e poi come sarebbe cambiata la tua vita se ti fossi messo in viaggio verso la Sicilia... trovi tutto sul sito di Encyclomedia senza bisogno di consultare decine di testi e senza ricorrere alle informazioni spesso inattendibili che si trovano sul web».
Immagino che un simile progetto sia stato oneroso e che difficilmente sarà redditizio.
«Diciamo che al posto di costruire una bella casa al mare ho contribuito a costruire una storia d’Europa che non era mai stata realizzata prima. In questo progetto, che da alcuni anni è tutto sulle mie spalle, ho investito molti soldi, e com’è ovvio, non è finita. Ci sono i continui aggiornamenti sull’attualità, e poi ci sarà il costo delle traduzioni».
Ha preso spunto dai miliardari americani alla Bloomberg, che sentono di dover “restituire alla società”?
«A parte che nel loro caso si tratta di ricchezze favolose, gli americani hanno un concetto diverso: trattano gli affari senza pietà, e più tardi restituiscono qualcosa. Io invece credo che ciascuno di noi debba sentirsi responsabile prima di tutto della propria famiglia e del proprio lavoro, ma anche della comunità. Encyclomedia è un progetto no profit che unisce al meglio della ricerca il meglio della tecnologia, a favore soprattutto della scuola. Ha attirato anche l’attenzione di Ban Ki-moon che ci ha invitato a presentarlo all’Onu poche settimane fa».
Che cosa pensa della scuola pubblica italiana, ci manderà i suoi figli?
«Per il momento la più grande dei due piccoli è ancora alla materna... ma anche quelli sono anni fondamentali che devono essere parte del percorso formativo, e oggi non è così. Il problema della scuola italiana, con le dovute eccezioni, sta nella carenza di orientamento. Non aiuta i giovani a capire per tempo quali sono le loro vere attitudini, né quali sono le nuove opportunità di impiego e quelle che invece spariscono. Bisogna poi che i nostri figli possiedano una doppia lingua naturale, l’italiano e l’inglese, altrimenti partiranno con un handicap, e non saranno in grado di sfruttare le possibilità del mondo. Inoltre la scuola italiana deve ammodernarsi sia nei sistemi di valutazione, che devono essere confrontabili e comprensibili anche all’estero, sia nella tecnica di insegnamento e nella meritocrazia, che deve valere tanto per gli studenti quanto per i professori».
Il tema della scuola e dell’istruzione fa parte del suo programma di rinnovamento, quello che lei sta preparando e che comunicherà in gennaio?
«Certo: scuola, giustizia, rilancio economico...».
Allude a quei famosi 2/300 miliardi di euro che secondo lei sono reperibili?
«Dimostrerò che è possibile mobilitare risorse pubbliche e private di questa portata, senza le quali non si può pensare di rimettere in moto un’economia da 1.500 miliardi. Altro che impiegare sei mesi a palleggiarsi la seconda rata dell’Imu: come parlare dello specchietto retrovisore quando si ha la macchina rotta e senza benzina».
Alcuni ritengono che lei, in realtà, stia temporeggiando e, una volta terminato l’anno sabbatico, sia indeciso tra politica e ruolo aziendale. Punta all’Eni?
«Ho detto dal primo giorno che non avrei considerato nessuna proposta aziendale in Italia o all’estero. Ho avuto tanti anni bellissimi in quel mondo, però adesso mi occupo d’altro».
Allora, se il suo futuro è nella politica, da che lato vuole stare? A sinistra o a destra? Non vorrà rifare il centro...
«Credo che ci voglia una forza liberal-popolare dalle idee coraggiose e radicali che non lasci nessuno indietro. Non penso a un nuovo centro, non credo nella sinistra conservatrice, la parola destra non mi soddisfa. In realtà voglio coinvolgere parte di tutti e tre questi segmenti e in più anche di quello di Grillo».
Trasversale, dunque.
«Sono finite le ideologie e non resta che misurarsi sui contenuti e vedere chi riesce a fare meglio. I padroni della politica vogliono costringerci nelle categorie mentali di chi ha fallito. Vogliono buttarti da una parte o dall’altra e farti scegliere uno dei loro poli. La Seconda repubblica lascia dietro di sé quasi solo fallimenti: etici ed economici, e ci ha costretto a pensare che il futuro sarà peggio del presente. Adesso però punto e a capo!».
Non mi dirà che crede nel mercato.
«Certo che credo nel mercato! Come strumento in molti settori è il meccanismo più efficiente e anche più giusto. Ma ha bisogno di regole forti, se no porta a disastri. Non credo al mercato come ideologia, come fine: l’economia è molto più del mercato e la società è molto più dell’economia. La comunità, a ben guardare, vive più di dono che di profitto e la razionalità è solo una delle molle dei comportamenti sociali, non più rilevante delle emozioni».
Bene, ma se il suo programma si dimostrasse irrealizzabile, se non trovasse il consenso necessario per portarlo avanti, come vede il futuro dell’Italia?
«Non accetto la domanda. Di fronte a delle buone proposte ne possono nascere altre di migliori, e se qualcuno può realizzarle, evviva».
Lei però non sembra un grande comunicatore, alla Renzi o alla Berlusconi. Come pensa di riuscire a smuovere gli italiani, a conquistarli?
«Certo, oltre ai contenuti, al coraggio e alla generosità bisogna essere bravi a comunicare e su questo fronte intendo fare di più. Ma con l’operazione di Poste ho mosso il cuore di 200mila postali: sono loro che hanno ricostruito l’azienda. Per me è diventata la metafora positiva dell’Italia, la dimostrazione che persino la peggiore delle burocrazie può essere vinta. Ma non aspettatevi da me una comunicazione fatta di retorica e di battute, cose per cui ho l’orticaria».
La vicenda Alitalia, di cui lei è stato advisor, le viene addebitata come una colpa. Me la spiega in poche parole?
«Alitalia è stata una storia di disastrosa gestione pubblica, come del resto fu quella di Poste. Ma non capisco perché debba scusarsi chi ha cercato di salvarne almeno una parte. A doversi scusare è chi l’ha gestita prima del 2007. A quel punto nessuna compagnia aerea la voleva, e investendo in aerei e persone si è tentato di salvare il salvabile, con soldi privati. Gran parte del risanamento è riuscita, anche se nessuno poteva aspettarsi una recessione così lunga, sommata allo straordinario successo dell’Alta Velocità. Il risanamento di Alitalia può essere completato, e con alleanze internazionali possiamo avere una compagnia sostenibile e utile al nostro Paese. Non foss’altro che per i 30.000 posti di lavoro diretti e di indotto a rischio, trovo incredibili certe frasi superficiali e sprezzanti. Non è un’operazione di Berlusconi, come dice Renzi. Buttiamo centinaia di milioni in cose meno importanti, e con meno posti di lavoro. Non ho parole di fronte alla demagogia di chi si augura il fallimento».
A proposito, che rapporti ha con Renzi?
«Nessuno. Da oltre un anno, nessuno».
Passiamo alle inchieste della magistratura. Lei ha ricevuto un avviso di garanzia in merito alla morte di operai che lavoravano in stabilimenti Olivetti dove si manipolava amianto. Teme che vogliano bloccare la sua carriera politica?
«Non ho mai pensato a complotti giudiziari. Mentre lavoravo in Olivetti non ho mai sentito parlare di amianto e mi sembra che l’inchiesta riguardi fatti relativi agli Anni 60, 70, 80, quando io ancora non c’ero. Del resto, come capo azienda delle varie realtà in cui ho lavorato ho ricevuto decine di avvisi di garanzia e ho sempre dato la massima collaborazione ai magistrati. Tutto si è sempre chiarito. L’avviso di garanzia non è un’imputazione, anche se spesso i media tendono a farlo percepire come se fosse un rinvio a giudizio».
Lei parla come un visionario, convinto che un netto miglioramento sia possibile. Ottimista nonostante le delusioni? A proposito, quali sono state le peggiori?
«Ho una spiccatissima propensione a rimuoverle le delusioni, per cui un po’ devo pensarci... Be’, sicuramente ho provato una grande delusione nel vedere realizzata soltanto una piccola parte di quello che potevamo fare col governo Monti, e una grande delusione nel veder abbassare le ambizioni di radicalismo e di novità di Scelta Civica».
Di questo fallimento si sente responsabile?
«Nel 2011 a Monti avevo proposto quello che secondo me era un grande piano di rilancio dell’Italia, e pensavo fosse impegnato a realizzarne una buona parte, ma non è stato così. Alla fine del 2012 gli ho scritto i miei suggerimenti per la nascita di una nuova grande forza politica, mi è stato detto “sì, sì, hai ragione”, e poi si è andati da un’altra parte. Perciò non mi sento responsabile».
Delusioni delle vite precedenti?
«Non in banca, e certamente non alle Poste... Be’, sì: quattro vite fa, con De Benedetti. Poteva essere un grande innovatore del capitalismo italiano e invece non è andata così. E io gli ho dedicato molti anni».
Quindi le sue delusioni si chiamano De Benedetti e Monti?
«Diciamo che non sono stati all’altezza delle mie aspettative. Invece altri, come Bazoli e prima ancora Caracciolo, sono stati compagni di viaggio e amici di vita. Ciampi e Maccanico, che mi affidarono le Poste, mi hanno convinto che la politica può essere fatta con la schiena dritta e senza farsi intrappolare dal passato. Gente coraggiosa, gente generosa».