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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

I PALAZZI DEL POTERE PIÙ COSTOSI? QUELLI DELLA CASTA REGIONALE DEL SUD


«Ali ricchi ricchizzi, a li scarsi scarsizzi». Mai come oggi l’antico adagio siculo è confermato dai fatti: ai ricchi la ricchezza, ai miserabili la miseria. E tra i ricchi, al primo posto per le loro responsabilità, stanno i parlamentari regionali. Spropositatamente nababbi rispetto ai cittadini che (male) rappresentano.
Dicono le statistiche che la Sicilia, nei suoi sessant’anni di autonomia così larga da essere indicata da Roberto Maroni come il modello al quale puntare, è perfino retrocessa rispetto al resto dell’Italia. Nel 1951 forniva, secondo Confindustria, circa un ottavo del Pil italiano, oggi è crollata a un diciottesimo. Un disastro.
Il Pil pro capite, sceso di 4,5 punti nel solo 2009, era nel 2011 (rapporto Istat 2013) di 15.140 euro, cioè meno della metà non solo della Valle d’Aosta (32.565 euro) ma anche della Lombardia e del Trentino. Ed era pari al 55% della media italiana. Di più: nel non lontano 2000, l’isola aveva un prodotto interno lordo pro capite al 75% della media europea e nel 2010 è sceso al 66% perdendo rispetto alla regione bulgara di Sofia, la Yugozapaden (schizzata all’insù grazie anche all’uso dei fondi europei) addirittura 47 punti. Stava sopra di 38, ora è sotto di 9.
Una classe dirigente seria, davanti a numeri così, si nasconderebbe per la vergogna in uno sgabuzzino. Un titolone del Giornale di Sicilia di qualche settimana fa, al contrario, denuncia: «Il record dell’Ars: politici più pagati d’Italia». «Sono i più numerosi e i più ricchi d’Italia. In tempi di spending review, i 90 deputati regionali continuano a incassare mediamente 11.780 euro netti al mese (bonus esclusi) quando un consigliere di una qualunque altra Regione arriva a 8 mila o poco più», scrive Giacinto Pipitone, «Perfino gli assessori regionali guadagnano più dei ministri: 9.900 euro al mese contro gli 8.628 imposti da Letta».

Privilegi medievali. E intorno alle buste-paga c’è tutto il resto, una macchina così opulenta da fare dell’Assemblea regionale siciliana il Palazzo del potere più costoso d’Italia. Lo conferma uno studio per “lavoce.info” dell’economista Roberto Perotti. Dove si dimostra che con i suoi 156 milioni di spese il parlamentino isolano costa più di quelli della Lombardia (68), del Veneto (51) e dell’Emilia-Romagna messi insieme.
Il Movimento 5 Stelle era uscito trionfante dalle ultime elezioni regionali del 2012 giurando che avrebbe dato battaglia per spazzare via questo squilibrio insultante per tutti i cittadini, ma in particolare per quanti faticano ad arrivare a fine mese. Macché. Troppe resistenze. I 15 parlamentari grillini hanno potuto solo compiere un gesto simbolico: la restituzione mensile nelle casse regionali di 5.000 euro ciascuno, da usare come fondo per il microcredito. Ma la legge per adeguare le indennità così come deciso dal decreto Monti non è mai arrivata neppure in aula. Anzi, i più strenui difensori dei privilegi attuali, come il capogruppo del Pid-Cantiere popolare Toto Cordaro, si sono spinti a teorizzare la necessità di non toccare niente in attesa che si pronunci la Corte costituzionale su un ricorso contro i tagli agli stipendi dei consiglieri regionali promosso dalla Sardegna. A lui e agli altri, di autoridursi la busta paga a prescindere dalle imposizioni nazionali, non passa manco per la testa: che gli frega delle difficoltà della Sicilia dove una famiglia su cinque (triste primato italiano) vive al di sotto della soglia di povertà?
Questa sproporzione enorme e offensiva tra la sordità di una classe politica in gran parte scadente e la crisi nera del Mezzogiorno, crollato a livelli di disoccupazione e di miseria drammatiche, è uno dei fili conduttori del nostro libro. Pagina su pagina. Ma forse vale davvero la pena mettere a fuoco in questa specie di “capitolo extra” il contrasto insopportabile tra la vita di chi fa parte del Palazzo, marcata qua e là da una opulenza che pare del tutto indifferente alla crisi epocale, e quella di chi dal palazzo è escluso.
Cosa hanno fatto, i parlamentari siciliani, per meritarsi queste situazioni di privilegio? Perché mai dovrebbero sommare alle indennità già citate “un contributo per raggiungere il Parlamento (dunque per la benzina) che vale 7.989 euro annui per chi arriva da fuori provincia di Palermo”? E perché mai un deputato regionale che vive a Palermo dovrebbe avere comunque, per andare in ufficio, 3.323 in più all’anno?
Non bastasse, insiste Pipitone, «i presidenti di commissione (sono 8) sommano allo stipendio altri 2.089 euro lordi così come i 5 segretari del consiglio di presidenza, i tre deputati questore aggiungono 2.924 euro, i due vice presidenti dell’Ars incassano altri 3.244. I presidenti dell’Ars e della Regione hanno un bonus extra di 4.866 euro. E poi ci sono i vice presidenti di commissione, i segretari, i capigruppo…» Più, come dicevamo, tutte le spese intorno.
Il risultato finale, come spiega lo studio del professor Perotti, è che «la media italiana è di 875.000 euro per consigliere» ma il costo di ciascun parlamentare regionale va dai 410.000 euro della Valle d’Aosta e i 415.000 euro del Trentino fino a un milione abbondante in Piemonte. E alla cifra stratosferica di 1.735.000 euro in Sicilia.
Assurdo. Fatti i calcoli, ogni abitante spende per il proprio parlamentino una media di 16 euro che sale a 31 in Sicilia, 37 in Basilicata, 40 in Calabria, 45 in Molise e in Sardegna. Vale a dire che tolte la Valle d’Aosta, il Friuli Venezia Giulia e il Trentino (tutte regioni speciali con varie competenze esclusive) i consigli regionali più costosi sono tutti nel Mezzogiorno più povero. Come i palazzi dorati dei maharaja circondati dal fango, dal pattume e dalla fame.
Prendete la Sardegna. Agonizza l’industria che aveva in Porto Torres la sua roccaforte, vanno male la pastorizia e la produzione casearia aggredite dalla concorrenza (anche sleale) rumena, perde colpi il turismo a causa in buona parte delle tariffe esagerate dei voli e dei traghetti. Nel 2000 il pil pro capite era all’86% della media continentale. Nel 2010 è sceso al 78 e cioè 12 punti sotto la Corsica, che 10 anni prima era appaiata. Ma più ancora 27 punti sotto le Baleari. Impressiona la distanza abissale del pil pro capite: 24.672 euro l’anno nell’arcipelago spagnolo, 17.813 nell’isola italiana.
Eppure, appena il governo Monti che contava allora su un appoggio larghissimo a destra e a sinistra varò quel decreto per spingere i parlamenti regionali a darsi una regolata abbassando i costi, chi corse a presentare ricorso, come dicevamo, alla Corte costituzionale? La casta politica arroccata nella regione autonoma sarda. Scossa prima e dopo da una serie di scandali. Al punto che qualche settimana fa, mentre venivano arrestati Mario Diana e Carlo Sanjust (sospettato d’aver speso 23 mila euro di fondi pubblici per pagare il proprio banchetto di nozze) risultavano indagati per abusi vari sui rimborsi spese, tra vecchi e nuovi, 53 consiglieri.

Ruberia selvaggia. Indimenticabile il caso del pidiellino Silvestro Ladu al quale sono state contestate spese improprie, quand’era capogruppo della formazione Fortza Paris, per 250mila euro. Il suo interrogatorio, finito sui giornali, resterà leggendario: «Scusi, come ha speso quei 139.000 euro ritirati al bancomat?» «Posso rispondere solo in generale». «Erano a fini istituzionali anche le spese del carrozziere per le auto di famiglia?» «Talvolta sottraevo la Punto e la Golf ai miei familiari per esigenze istituzionali del Gruppo». «In che senso la spesa di 553 euro per lavori di carrozzeria e montaggio sensori parcheggio attiene alle finalità istituzionali?» «Sempre per le ragioni che ho illustrato. I sensori di parcheggio sono molto utili per la sosta».
Cinquantatré sotto inchiesta in Sardegna, cinquantatré in Campania. Nel 2000 la regione aveva un Pil al 73% della media europea, nel 2010 è precipitata al 64%, dietro la Martinica. Dietro la Tessaglia e la Macedonia. Dietro la Boemia meridionale o il distretto polacco di Piekary Slaskie… Per non dire dell’indice della competitività regionale nei Paesi dell’Unione europea, elaborato da Paola Annoni e Lewis Dijkstra, che vede la Campania al 257° posto tra tutte le regioni europee per competitività sul lavoro. E all’ultimo in assoluto per il tasso di occupazione femminile: 31,1 per cento.
Fossero davvero consci dell’abisso, i deputati regionali dovrebbero pesare ogni euro. Macché, come racconta il Corriere del Mezzogiorno, le indagini sui rimborsi hanno scoperto acquisti di «giocattoli, gioielli, farmaci, cialde per il caffè, necrologi e perfino la “spesa” da consegnare a casa e il chewingum». Unico risarcimento ai cittadini, la risata davanti alla notizia che Gennaro Salvatore, del gruppo Nuovo Psi-Caldoro presidente, ha speso pubblico denaro nel 2012 non solo per «1.935,50 euro di regali acquistati in gioielleria», 8.000 abbondanti tra bar e ristoranti e 318 di «prodotti alimentari (la normale spesa)» ma anche 203 euro per la tintura per i capelli. Mica male, per uno quasi calvo…

Giù nelle classifiche. Quanto alla Calabria, scesa nel 2010 al 65% del pil medio dei cittadini europei, al di sotto delle isole Reunion al largo del Madagascar, dei polacchi della Bassa Slesia, dei portoghesi delle Azzorre o degli slovacchi occidentali, basti un dato evidenziato da Roberto Perotti: ogni consigliere calabrese pesa complessivamente sulle casse pubbliche per 1.548.000 euro. Il reddito medio, stando ai dati del ministero dell’economia basati sulle dichiarazioni dei redditi, di 108 calabresi.
Eppure, spiega ancora Pipitone nella sua inchiesta, la regione ha abbassato sì al minimo lo stipendio (tassabile) che vale oggi 5.100 euro ma «ha alzato il bonus per l’esercizio del mandato (esentasse) fino a 6 mila euro» col risultato che «un consigliere calabrese può arrivare così a circa 9 mila euro netti». In un’area dove i giovani, con una disoccupazione aumentata nel 2012 del 60,7%, sono letteralmente alla canna del gas. E si chiedono perché mai l’ente pubblico perda tempo in pratiche burocratiche come quella che riguarda l’onorevole Grillo che con «decreto del prefetto di Vibo Valentia, protocollo numero 24451/Area II/203 dell’8.8.2013» è stato «autorizzato al cambio del nome da Alfonsino ad Alfonso». Una svolta davvero epocale…