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 2013  dicembre 06 Venerdì calendario

CAPITONI CORAGGIOSI


Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. Partiamo pure dai vecchi proverbi. Questo per me vale anche a tavola. La pastiera, ad esempio, è il classico dolce pasquale, a Napoli, ma niente vieta di mangiarla a Natale, anzi alla vigilia. Per cenone qui s’intende quello della sera del 24 dicembre, più carico di simboli religiosi. In molte regioni si servono 13 varietà di dolci (Gesù più apostoli). Il cenone di fine anno è un’altra faccenda: più fuori casa che in casa, più consumistico che raccolto, più pagano che religioso, quindi dovrebbe valere la regola del «fate come volete». Invece l’Italia è piena di originaloni che propinano salmone affumicato, vol au vent, i terrificanti gamberetti in salsa Aurora e in chiusura cotechino (spesso infame) e due mestolate di lenticchie, che portano soldi (mai successo). Prima di tornare al cenone del 24, consigli per quello del 31: se volete andare in un ristorante, fatelo il 30. Mangerete meglio e spenderete meno. E il 31 tapparsi in casa, chiudere be- ne finestre e imposte. Precauzione minima, se l’Italia è solcata da razzi, petardoni e pirotecnie varie, ma anche festosi colpi di pistola e di fucile che ogni tanto accoppano qualcuno. Il 24 per antica tradizione si mangia di magro. Molto mare (pesci, crostacei, molluschi), molte verdure e insalate: quella di rinforzo si chiama così proprio perché, con la varietà degli ingredienti, rinforza una cena non luculliana. Si recupera coi dolci, gli agrumi, la frutta secca. Natale con i tuoi per me significa con la tua famiglia e con i piatti tuoi, della tua città, della tua regione. Se poi a qualcuno o a molti viene in mente di preparare sushi, o hamburger con patatine, non si senta in colpa.
In colpa mi sento io quando vedo vendere quintalate di anguille vive, nei giorni di vigilia. Sì, perché il piatto evergreen del cenone è l’anguilla, dall’Umbria in giù chiamata capitone. Ma sempre anguilla è: femmina, perché i maschi restano di dimensioni minori, 60 cm. di lunghezza e poco più di mezzo chilo contro i 150 e 6/7 chili di una femmina, o capitone. Forse l’anguilla è condannata dal 1758, quando la catalogò Linneo: anguilla anguilla, come dire serpentello serpentello (dal latino anguis). È condannata al cenone per un’antica simbologia: il serpente già nell’Eden è uno strumento del Demonio, un segno del Male, quindi mangiarlo equivale a esorcizzare il Male. Direte: ma che c’entra l’anguilla? Nulla, è solo questione di forma, di evocazione e di comodità. Oppure conoscete qualcuno che mangerebbe una vipera in umido o una biscia alla griglia? In più, l’anguilla è un pesce. Dalle abitudini singolari, ma pur sempre un pesce. Si può allevare, ma non si riproduce in allevamento. Si possono catturare gli avannotti, detti cieche, cèe sul litorale toscano, angulas in Spagna, dove la quotazione viaggia sui mille euro al chilo. E si possono crescere, in vasche separate a seconda della grandezza, e commercializzare dopo tre anni circa.
Più o meno il tempo che hanno impiegato a varcare l’Atlantico. Tutte le anguille nascono nel Mar dei Sargassi, poi sfruttando le correnti si sistemano dal Senegal all’Islanda, molte in Italia e non solo nelle valli di Comacchio ma anche lungo i fiumi e gli stagni costieri. La si pesca fino a mille metri d’altitudine. L’anguilla non ha preferenze: acque marine, acque dolci, acque mosse, acque sporche, ne hanno trovate anche nelle fogne. Sono le femmine le più toste (capitoni coraggiosi), quelle che risalgono fiumi e torrenti, quelle che da un’acqua all’altra si possono muovere anche sulla terraferma, specie quando piove e non c’è sole (patiscono la luce). Più pigro o meno forte, il maschio preferisce sostare in prossimità delle foci, dove i fiumi sboccano in mare. Per riprodursi le femmine tornano nel mar dei Sargassi, se ci riescono, e non è una passeggiata, tanto più che digiunano per tutto il viaggio. Se ci riescono, depongono le uova e muoiono.
Oh capitone, mio capitone. Mi sento in colpa anche se non ti mangio, per rispetto della strada che fai e perché qualcuno dovrà pure prendere le tue difese. Sì, perché in prossimità di Pasqua si sentono tante considerazioni pietose su agnellini e capretti, sulla loro sorte e gli strazianti belati, ma sotto Natale nessuno si preoccupa del capitone e nemmeno del tacchino e del cappone. Forse perché il capitone, essendo pesce, è muto come un pesce. Forse perché nell’inconscio resta la voglia di esorcizzare il Male. Forse perché si considera il cenone come un’una tantum e non si pensa alle 300 kcal in un etto di carne. Ma non è un’una tantum: la specie si sta assottigliando, è considerata come «gravemente minacciata » nella lista rossa dell’Iucn (Unione internazionale per la conservazione della natura). Ed è così da secoli. Nel Purgatorio Dante evoca papa Martino IV e la sua smodata passione per «l’anguille di Bolsena e la Vernaccia». In effetti, questo papa morì d’indigestione a Perugia il 28 marzo 1285 e, stando al Tommaseo, sulla sua tomba fu scritto: Gaudent anguillae quod mortuus hic iacet qui, quasi morte reas, excoriabat eas. Ovvero: gioiscono le anguille perché qui giace morto colui che, quasi fossero colpevoli di morte, le scorticava.
Le faceva scorticare, più verosimilmente, un lavoraccio non da papi. Vive, perché è il modo migliore (peggiore per l’anguilla) di togliere la pelle. Da qui parte il mio consiglio, o appello, in rima: sul tavolo del cenone, tutto ma non il capitone. Ci sono alternative: alcuni le surgelano da vive, altri le decapitano, ma anche senza testa l’anguilla si muove a lungo. E poi dicono che è difficile da digerire perché è grassa. E se sullo stomaco, invece, pesassero i rimorsi?