Marco Damilano e Denise Pardo, L’Espresso 6/12/2013, 6 dicembre 2013
UN TOSCANO A ROMA
Nell’ultimo anno nella Capitale avrà dormito sì e no quattro notti. E sempre in alberghi laterali, al Bernini Bristol in piazza Barberini o in un Best Western vicino alla Stazione Termini, come un commesso viaggiatore dalle ore contate. Quando ha un minuto libero, si rifugia nel loft a San Lorenzo dell’amico regista Fausto Brizzi, negli scaffali della libreria non i quaderni di Gramsci ma gli albi dell’Uomo Ragno. È la nuova intellighenzia organica. Per lui Roma non è "La grande bellezza", ma è soprattutto la città degli studi televisivi da dove diffondere il Verbo. Basta e avanza, poi si torna a casa. Per fortuna Firenze è vicina. Un salto sul treno, un’ora e i veleni capitolini sono lontani. Fino a oggi è stato così.
Matteo Renzi e Roma. Non si può dire un idillio. Il sindaco di Firenze sta per conquistare la segreteria del Pd, molto di più che una formazione politica, sia pure quella che regge il governo di Enrico Letta, che ha la maggioranza dei seggi alla Camera. È l’eredità dei vecchi partiti-Stato, l’entrata nel tempio di un potere pesante e centralizzato da cui si nominano parlamentari, consigli d’amministrazione, direttori di telegiornali, si fanno e si disfano i governi.
La Capitale aspetta il sindaco-straniero, il forestiero venuto da Firenze. Nessun volto noto dell’establishment tra le sedie del teatro Olimpico il 3 dicembre alla sua presentazione ufficiale. Nella città l’onda Renzi non si è ancora vista. Nei circoli del Pd ha trionfato il rivale Gianni Cuperlo, l’ombra del potere dalemiano. E nei palazzi tutto bloccato: nessuna nomina, nessun atto, nessuna decisione. Attendiamo l’otto dicembre, è la parola d’ordine che passa dall’Ance, la potente associazione dei costruttori, ai grandi elefanti ministeriali. Al termine di un anno traumatico, uno shock dopo l’altro, la calata dei grillini, l’abbandono di Berlusconi, la grande toppa delle Larghe intese sempre più sfilacciata, i poteri della Città eterna sono sospesi divisi fra la trattativa e la resistenza con Enrico Letta, il figlio venuto meglio del sistema. Tutti in attesa dell’ultimo strappo, il più dirompente, forse il definitivo tramonto del vecchio impero romano.
Un’ostentata estraneità reciproca. Il vincitore predestinato e rottamatore si divincola dalla capitale che ti abbraccia per poi soffocarti - com’è successo quasi sempre con quelli venuti da fuori - refrattario agli inviti, diffidente verso un mondo che lo vorrebbe esibire come il trofeo più desiderabile del momento. Gli imprenditori dell’associazione industriali, le padrone dei salotti, la Roma del potere apparecchiato che pagherebbe per averlo una sera a cena, pur temendo lui e quel che rappresenta, un’aggressiva carica antiPalazzo, in potenza più pericolosa di quella che fu di Umberto Bossi e oggi di Beppe Grillo. Da "Fortunato al Pantheon", luogo simbolo dei grandi intrighi e degli inciuci più sopraffini, è stato avvistato, ma solo all’uscio. Renzi stava camminando, ma si è immobilizzato intercettando alla porta del ristorante Alessandro Battista, proprio il deputato grillino anti-casta.
Meglio l’Ostiense e i tubi metallici e contemporanei di Eataly, tavola renziana ed evocativa del renzismo, rumori, movimenti, ascensori trasparenti, la velocità generazionale: lì nel regno del fervido sostenitore Oscar Farinetti ha convocato i suoi parlamentari per decidere di votare Prodi al Quirinale, mica in una delle stanze del partito. E poi quando Stefano Bonaccini e Matteo Ricci gli hanno domandato dove si potevano incontrare per comunicargli che avrebbero abbandonato Bersani, per loro l’appuntamento della vita, si sono sentiti rispondere: «Ci vediamo al bar della Galleria Alberto Sordi». Come dire davanti a tutta Roma, di fronte a Palazzo Chigi, tra Zara e Feltrinelli, un via vai di gente, si deve urlare per sovrastare il rumore delle tazzine. Lì una cimice darebbe le dimissioni.
Anche se è più salutare incontrare in gran segreto chi conta davvero. Per tutti, l’uomo più liquido d’Italia, e il vero re di Roma Francesco Gaetano Caltagirone, mattone, soldi, giornali e Generali, in questo momento privo di punti di riferimento politici dopo la delusione del genero Pier Ferdinando Casini e lo scontro con il sindaco di Roma Ignazio Marino. Con l’editore del "Messaggero" si sono incontrati e piaciuti, come rivelato da Caltagirone in una rara apparizione in tv da Lilli Gruber. Toni inusuali, un Caltagirone persino lirico: «I partiti hanno perduto il contatto con la gente, lui invece quel contatto ce l’ha. Renzi non è un bene perché nuovo, è un bene perché capisce la società attuale». Neanche Popper.
Finora non aveva nemmeno un ufficio. Dall’otto dicembre avrà un palazzone, Largo del Nazareno, la sede dell’ingovernabile partito democratico, il simbolo affollato del ministero Pd dove il sindaco non ha quasi mai messo piede, attento a non contaminarsi, dove si aspetta con terrore le sue prime mosse. Fu Massimo D’Alema a pronunciare la modesta frase «capotavola è dove mi siedo io»; per Renzi, altrettanto umile, la segreteria sarà dove si trova lui. Il Big Bang del Pd modello Renzi è nello schema 3-3-1. Tre giorni a Firenze, tre giorni in Italia, e un solo maledetto giorno a Roma. Per il resto del tempo, a gestire le incombenze ci penserà il trentenne deputato fiorentino Luca Lotti, futuro coordinatore della segreteria. Vuol dire trasformare il Nazareno in un guscio vuoto. In attesa di chiuderlo e trasferire quel che resta altrove, a Ostiense o a Prati nel quartiere di commercialisti e avvocati, non della politica. Non se ne parla di fare il segretario classico, ricevere i capi corrente e segretari regionali e offrirsi ogni sera al pastone politico dei tg delle 20. Più importante per lui riconquistare l’Italia e meno pericoloso continuare a fare il sindaco, aspettando che siano gli altri a cercarlo a Firenze, come nella serata delle elezioni, tutti intorno a lui nella Fortezza da Basso. Si può fare il segretario del Pd mordi e fuggi, per non essere morso, da Roma, e poi dover fuggire.
Anche in Rai, misurino millimetrico degli equilibri e delle densità del potere in divenire, molta prudenza. Nei suoi uffici lavora Luigi De Siervo, direttore commerciale, l’uomo dei diritti, degli acquisti e delle vendite. Fiorentino, figlio di Ugo, l’ex presidente della Corte Costituzionale, fratello di Lucia, capo segreteria del sindaco, è stato al fianco di Matteo, vacanze e Capodanni passati insieme, fin dagli inizi, ritagliandosi il ruolo di accompagnatore romano. Da qualche mese in viale Mazzini non riesce a prendersi nemmeno un caffè in solitudine.A battere tutti sul tempo nel posizionarsi è stata Monica Maggioni, brava e trasversalissima direttore di Rainews, intervistandolo a Pesaro il 5 luglio al Festival Pop Sophia. A Saxa Rubra commentano che Monica è arrivata prima di Bianca (Berlinguer) che si è seduta sul palco insieme a lui quasi due mesi dopo, il 30 agosto alla festa del Pd a Reggio Emilia.
Ma a farsi avanti in modo più sfacciato (e accolta da lui a braccia aperte) è la Roma delle ambasciate. È stato il rappresentante tedesco Reinard Schafers a portarlo da Angela Merkel (uno dei luoghi comuni è «ve lo immaginate Renzi a colloquio con la Cancelliera?». Ecco, è successo). Grandi rapporti con John Phillips, neo ambasciatore di Obama con borghetto in Toscana. Per non parlare dei rapporti con David (Cameron), lunghe vacanze in Chianti, e con i diplomatici Christopher Prentice (Gran Bretagna) e con Naor Gilon (Israele). Con Alain Le Roy, l’inviato della Francia, si sta preparando un incontro con Manuel Valls, il ministro degli Interni francese, il politico più popolare della presidenza più impopolare, la versione d’Oltralpe della rottamazione. Un lavoro più da aspirante candidato premier che da probabile segretario Pd. È l’altra Roma, la Roma straniera dove si incrociano le traiettorie del mondo, dove si annusa e si decide su quale cavallo puntare.
Ma intanto ha incassato la prima vittoria istituzionale. Il blocco della legge elettorale al Senato e il rinvio alla Camera come Renzi aveva già chiesto da varie settimane. Il primo riconoscimento del partito: senza il via libera di Renzi il Pd non può prendere posizione. Tanto più significativo perché arriva da una arci nemica del sindaco come Anna Finocchiaro. Fino ad adesso ogni volta che si è affacciato nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama, Renzi ha subìto solo sconfitte. Ha candidato Prodi al Quirinale e il professore è stato brutalmente eliminato, in quell’occassione il partito non lo aveva nemmeno incluso tra i grandi elettori. Ha chiesto ripetutamente le dimissioni di Anna Maria Cancellieri e i gruppi parlamentari hanno invece riconfermato la posizione del governo. E il vice-ministro Stefano Fassina, bersaniano e antirenziano storico, ha già avvertito: «Matteo deve sapere che non ha il controllo dei nostri parlamentari».
Renzi, però, almeno nelle intenzioni, si prepara a un taglio drastico della categoria. Alla vigilia delle primarie, dal palco del teatro Olimpico, Renzi ha promesso l’abolizione del Senato: «Basta con mille parlamentari». Come se non bastasse, minaccia lo stesso trattamento per il Cnel: «Sono pagati da decenni per dare pareri, al bar li danno gratis»; e dei consiglieri regionali: «Lo dico qui, a Roma», forse perché il governatore del Lazio Nicola Zingaretti non è decisamente un amico, come dimostrano i risultati del congresso romano negativi per Matteo.
Tagliare, ma anche nominare. Tra i primi impegni del segretario Renzi ci saranno i rinnovi dei vertici degli enti pubblici più pesanti, in testa Eni ed Enel. Con Paolo Scaroni il rapporto è mediato da Jacopo Mazzei, presidente dell’ente Cassa di risparmio di Firenze, altro grande sostenitore, consuocero dell’amministratore delegato dell’Eni; con Fulvio Conti c’è stato anche di recente un incontro di beneficenza di Enel Cuore organizzato dal potente uomo delle relazioni esterne Gianluca Comin. Mondi e poltrone in cui il pensatoio-vivaio di Letta VeDrò seminava e raccoglieva.
Infine, potere spirituale e potere temporale, i colli più alti, il Papa e il Re. In Vaticano e alla Cei il cattolico Renzi ha rotto di recente il legame con il cardinale di Firenze Giuseppe Betori, a lungo il numero due di Camillo Ruini, in felice coincidenza con l’azione di repulisti operata da papa Francesco, un altro straniero che ha rifiutato di vivere con la Curia. Al Quirinale, dove Enrico Letta è di casa e non solo perché è il presidente del Consiglio, non è mai stato ricevuto come leader politico.Ma le telefonate tra Giorgio Napolitano e Renzi sono diventate frequenti anche se mai pubblicizzate. Tanto è una questione di ore, volente o nolente il sindaco di Firenze entrerà di diritto nella nomenklatura. Di Roma.