Bianca Di Giovanni, L’Unità 5/12/2013, 5 dicembre 2013
IL COMMMISSARIO “MR. TAGLI” «20MILA AMMINISTRATORI: TROPPI»
Oggi sarà a Bruxelles a spiegare il piano di riduzione della spesa alla Commissione Ue. Per Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, è il secondo appuntamento importante della settimana. «Taglio per ridurre le tasse. Troppe partecipate: ci sono 20mila amministratori... Troppi»
Il primo appuntamento è stato l’altroieri a Palazzo Chigi dove si è dato il via al lavoro dei diversi team coinvolti. Un summit proprio in contemporanea ai siluri lanciati da Olli Rehn sul bilancio italiano. «Purtroppo Rehn non ci sarà - racconta all’Unità - ma parlerò con i tecnici». A loro spiegherà che le prime misure di tagli di spesa arriveranno già in primavera. E che quelle risorse serviranno ad abbassare le tasse, a fare più investimenti e in ultima istanza a ridurre deficit e debito, come prevedono i documenti del governo. Con tempi record rispetto agli standard internazionali: tre mesi per una prima revisione tecnica «è il minimo, proprio per evitare tagli lineari». Insomma, durante l’esame della legge di Stabilità di quest’anno non arriverà nulla. Ma bisognerà aspettare poco per agguantare i primi risultati: il grosso delle proposte arriverà a fine febbraio, il resto in primavera. Tra marzo e aprile dovranno essere prese decisioni politiche, con possibili riduzioni di tasse già in aprile.
Il commissario non si scoraggia: sa che l’Italia può farcela. «Come a calcio sappiamo battere la Germania - va ripetendo - dobbiamo farlo anche in questo». I modelli stranieri gli sono d’aiuto. In particolare utilizza quello canadese degli anni 90, che parte da due pilastri: un obiettivo chiaro e il coinvolgimento della Pa. «Ho già incontrato i sindacati, presto ci sarà una commissione dedicata al lavoro pubblico. Insomma, la macchina si sta avviando: domani partirà il team del ministero dell’Economia.
Sa che in Italia già la chiamano l’uomo della Troika?
Sorride. «Mi sorprende perché forse la gente non si rende conto del fatto che quando la Troika entra in azione gli effetti sono molto più pesanti: non si fa un disegno dei dettagli della spesa accurato, ma si taglia e basta. E c’è un’altra differenza: i risparmi in quel caso vanno solo a ridurre il deficit. Qui le risorse che si trovano vengono reimmesse nell’economia per una riduzione di una tassazione sul lavoro. Ben diverso dala Troika: il confronto non ci sta».
Quali sono le dimensioni effettive dell’intervento? Conferma i 32 miliardi?
«Nella legge di Stabilità ci sono alcune cifre. A 32 miliardi si arriva nel 2016 per effetto della spending review, ma solo con risultati significativi anche nel 2014 e 2015».
Sicuro che non andrà a ridurre il debito vista pressione dall’Europa?
«Il documento del governo dice che la maggior parte è destinata ad abbattere la tassazione sul lavoro verso la media Ue, un’altra parte a investimenti produttivi e infine alla riduzione del deficit e quindi del debito».
Le aziende pubbliche locali sono tornate sotto i riflettori dopo il caso Genova. Si autofinanziano solo al 30%. Il contributo può diminuire senza intaccare i servizi?
«La questione delle partecipate degli enti locali è importante. In Italia ce ne sono troppe (settemila): con questi numeri è costoso semplicemente amministrarle: ci sono circa 20mila amministratori. Su questo si potrebbe agire. Ma è anche importante non generalizzare: alcune hanno perfettamente motivo di essere. L’intenzione non è certo quella di eliminare i servizi importanti per la comunità. Vale per le partecipate e vale anche per altre cose».
Eppure nel dossier che la riguarda si parla di nuovo perimetro dello Stato o di riduzione dei lea (livelli essenziali di assistenza) nella sanità. Non dovrebbe essere una scelta politica?
«Tutte queste cose sono scelte politiche, nel senso che noi facciamo soltanto proposte. Visto che c’è un obiettivo, 32 miliardi, per raggiungerlo dobbiamo indicare le cose che sono meno importanti distinguendole da quelle più importanti».
Se si parte dall’obiettivo, significa che si fanno tagli, non efficienza.
«Partire dall’obiettivo vuol dire che bisogna reperire risorse per fare cose importanti, come ridurre la tassazione sul lavoro. Non si tratta di tagliare e basta. Il fatto è che i lavoratori italiani sono tassati troppo, ed è per questo che il prodotto italiano è meno competitivo rispetto ai prodotti degli altri paesi dell’area».
Eppure l’Italia non spende troppo. Eliminare 32 miliardi non è uno scherzo.
«Questo è un punto importante. Se si esclude la spesa per pensioni, dove l’Italia sta al di sopra di tutti gli altri Paesi (e non solo per motivi demografici), la spesa italiana primaria non è particolarmente elevata. Ma il problema è che debito pubblico è ben più elevato rispetto agli altri Paesi dell’euro. Questo vuol dire che ci possiamo permettere una spesa più bassa di quella di altri Paesi. Significa che siamo destinati a offrire servizi peggiori degli altri? No, vuol dire che dobbiamo essere più bravi nel gestire la spesa pubblica. Questa idea che noi dobbiamo puntare alla media non va: dobbiamo essere più bravi, perché ne abbiamo la necessità».