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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

IL FATTORE SUCCESSO


«Non basta aprire una pagina Facebook e piazzare un hashtag su Twitter per avere una social tv: questo è l’errore di chi fa il nostro mestiere. Non è così. Non devi dire al tuo pubblico che sarà parte del programma, devi dargli gli strumenti per intervenire nel programma e condizionarlo. Ed è per questo che, quando abbiamo portato X Factor su Sky, abbiamo fatto un investimento sul sistema di voto». Parola di Andrea Scrosati, 41enne, executive vice president per l’area cinema, intrattenimento, news e canali partner di Sky Italia, il genio che sta dietro il successo di X Factor, programma che domina la classifica dei più twittati, con oltre 90 mila tweet a puntata, e registra picchi di share dell’8 per cento.
«Nessun programma, nella storia della tv italiana, ha il numero di voti di X Factor. Nel secondo live di Hell Factor (la puntata con la doppia eliminazione, ndr) sono arrivati 2 milioni 400 mila voti. Il Festival di Sanremo quest’anno ne ha fatti 700 mila in cinque serate: meno di un quarto. Ma loro hanno il 55 per cento di share, mentre il nostro pubblico di riferimento, in quanto pay tv, è un quarto della platea disponibile. Questo perché le persone a casa sanno che il loro voto determina ciò che accade nel programma. Un esempio: il ballottaggio di Valentina, Gaia e Fabio. Eravamo convinti che il primo a essere eliminato sarebbe stato Fabio, e saremmo arrivati al break pubblicitario con una situazione di suspense per il pubblico e molto difficile per Mika, che avrebbe dovuto scegliere fra due sue cantanti. Dal punto di vista televisivo era perfetto: una garanzia di ascolti. Invece Fabio ha cantato meglio e il pubblico ha eliminato Valentina. Stravolgendo quello che avrebbero deciso gli autori se la scelta fosse stata loro».
Ormai è un luogo comune: un programma è molto seguito su Twitter, ma non fa ascolti. E non passa giorno senza che Aldo Grasso, nume tutelare della tv (al quale si è aggiunto Carlo Freccero), non debba «sgridare» le reti generaliste per l’ingenuità con cui guardano ai social network (si pensi ai fallimenti di Aggratis! e Celi, mio marito!). Nelle ultime stagioni su Rai 2 X Factor era un po’ bollito, Sky l’ha rilanciato. Oggi la pay tv guidata da James Murdoch propone un bouquet di 10 produzioni originali di intrattenimento. Finito X Factor, con la finale per la prima volta in onda dal Forum di Assago, il 19 dicembre, sempre su Sky Uno, tornerà MasterChef. A gennaio partirà The Apprentice, poi in primavera debutteranno Junior MasterChef Italia e Hell’s Kitchen Italia con Carlo Cracco. Per tutti, secondo Scrosati, emblema della tv che cambia, ma anche tanto scaramantico da occupare sempre la stessa poltrona alla X Factor Arena e non vedere mai la seconda puntata dal vivo, il successo sta in una parola: bidirezionalità. Non più solo il consueto trasferimento di contenuti dalla tv al telespettatore, ma anche il contrario.
Come è nata la scommessa di «X Factor» sulla pay tv?
Il vero programma d’intrattenimento è quello di cui si parla tutta la settimana, che continua a vivere prima e dopo la puntata, generando trend culturali. Se la tua platea è ristretta, com’è la pay tv rispetto a quella generalista, le emozioni che provochi devono essere ancora più forti. Quando abbiamo deciso di portare X Factor su Sky, sembrava un’impresa folle. Sia perché Sky non aveva una tradizione d’intrattenimento, sia perché l’Italia è l’unico Paese al mondo dove X Factor (e MasterChef, The Apprentice e Hell’s Kitchen) è sulla pay tv. Lo stesso Simon Cowell, detentore del format, era perplesso: temeva che il passaggio alla pay tv l’avrebbe ucciso. L’obiettivo quindi era fare in modo che X Factor diventasse, o meglio tornasse a essere, un fenomeno di costume. La grande opportunità ce l’hanno data i social media, versione 2.0 del salotto degli anni Settanta in cui si guardava tutti insieme la tv. Peraltro, con X Factor, ma anche con MasterChef, ci sono i gruppi d’ascolto. Chi ha Sky invita gli amici a casa a vederlo, e non sa quante migliaia di persone postano sul nostro sito le cene preparate con gli ingredienti dell’ultima «Mystery box».
Non solo un evento social, e anche sociale. Da un lato il massimo dell’innovazione tecnologica, dall’altro la tradizione antica di riunirsi attorno al focolare.
Dove a scegliere sono i giovani di casa. Nel 2011, anno in cui X Factor è passato su Sky, l’età media dei telespettatori si è abbassata di 11 anni. Una cosa mai accaduta nella storia della tv per lo stesso programma.
Su Rai 2 «X Factor» era molto meno pop, quasi un programma di nicchia, molto lontano dalle edizioni straniere.
Altro tipico problema italiano. Acquisti un format internazionale e poi, però, lo localizzi: molto presuntuoso. Questi programmi non sono a buon mercato, quando li acquisti non compri solo l’idea, ma anche la garanzia di una formula testata in tanti paesi. La localizzazione c’è de facto con giuria e concorrenti italiani.
Che cosa invidia agli altri talent canori?
Trovo che The Voice, nella fase del casting, con i giudici che danno le spalle ai concorrenti, abbia un meccanismo più intrigante del nostro. Da X Factor però escono cantanti che vendono dischi. Tutti i nostri vincitori hanno fatto carriera. A differenza di altri talent applicati all’Italia, con l’eccezione di Amici, da noi l’obiettivo è un percorso musicale e discografico importante. Anche perché, essendo una pay tv, il pubblico a casa deve crederci. Quest’anno abbiamo fatto 60 mila audizioni, 25 mila in più dell’anno scorso. Se alcuni dei nostri vincitori e finalisti facessero un po’ meno pubblicità e un po’ più di musica sarebbe meglio per loro.
Perché «X Factor» italiano ha anche il «Daily», appuntamento giornaliero?
Per dare qualcosa in più ai cosiddetti evangelisti di X Factor, il nostro pubblico più leale, che al momento del live trascina gli altri davanti alla tv.
Mika in giuria è stata una grande trovata.
Tutto merito del nostro produttore, Lorenzo Mieli, ad della FremantleMedia Italia. L’anno scorso Mika aveva partecipato come ospite ed era rimasto affascinato da Chiara. Così, per la finale coi duetti, Mieli ha suggerito di richiamarlo. Lui si è prestato, e ha detto che quella italiana era la produzione più bella che avesse mai visto. Da lì l’idea di fargli fare il giudice. C’era l’ostacolo dell’italiano: a maggio non parlava una parola. Ha iniziato a studiarlo per cinque ore al giorno.
Ci saranno cambiamenti l’anno prossimo? I fan di Twitter sembrano suggerire che qualche personaggio ha fatto il suo tempo.
In Italia, se una formula funziona, viene replicata all’infinito, col risultato di depotenziarla. Cambiare è l’unico modo per mantenere un programma vivo e dinamico. L’edizione italiana di X Factor è una delle case history più citate al mondo. Oltre all’interazione digitale, altri strumenti sviluppati hanno attirato l’attenzione dei cugini stranieri. Come l’applausometro che consente di applaudire o fischiare virtualmente. Lo abbiamo applicato anche al confronto tra i candidati alle primarie del Pd, andato in onda proprio dalla X Factor Arena. L’obiettivo è fare di X Factor un laboratorio per contenuti anche più seri.