Laura Maragnani, Panorama 5/12/2013, 5 dicembre 2013
DIPLOMAZIA EXTRALUSSO
La causa è a New Delhi, davanti all’Alta corte di giustizia: 238 milioni 904 mila rupie, pari a 2,8 milioni di euro. Centesimo più, centesimo meno, è quanto rivendicano otto impiegati di nazionalità indiana che lavorano presso l’ambasciata italiana e le rappresentanze diplomatiche di New Delhi, Mumbai e Calcutta. Altri dipendenti seguiranno presto. «Per oltre 10 anni sono stati pagati un decimo dei loro colleghi italiani, pur svolgendo le stesse identiche mansioni» dice a Panorama l’avvocato Gopal Sankharanarayana. Il 13 gennaio il governo indiano li ha autorizzati a citare l’ambasciata italiana per «presunte discriminazioni nel pagamento degli stipendi » in base alla nazionalità.
Insomma: discriminazione razziale. Ad opera della Farnesina? Sì. E della nostra ambasciata? Certo. La stessa ambasciata e lo stesso ministero che oggi stanno cercando di riportare a casa i due marò accusati di omicidio? Esattamente. Sarà un gran bel biglietto da visita, la discriminazione razziale, per un processo che già si preannuncia molto teso. «Non invidio il vostro ambasciatore» commenta Sankharanarayana.
Benvenuti alla Farnesina 2013, il ministero dei paradossi. Nel 2011 contava una rete di 319 sedi estere ma oggi, per risparmiare, si appresta a chiuderne 32, riducendo i servizi consolari per 6 milioni di emigranti. Nel 2007 aveva un budget di 3,28 miliardi di euro e oggi ne ha 1,5 di meno, ma continua a spendere per consulenze, premi di risultato e indennità assortite. Ai suoi 919 ambasciatori offre un trattamento tra i migliori al mondo (vedere il n. 50 di Panorama), ma paga solo 270 euro al mese ai dipendenti indiani o 421 euro a quelli dello Zimbabwe. In 130 hanno già fatto causa.
Per fare bella figura durante il prossimo semestre di presidenza dell’Unione Europea, però, la Farnesina non bada a spese. La legge di stabilità stanzia 58 milioni da spendere «anche» per «il noleggio e la manutenzione di autovetture e l’acquisto di mobili e arredi», senza sottostare alla mannaia della spending review. La deroga vale per tutto, dalle auto blu alle assunzioni di personale per le «straordinarie esigenze di servizio della rappresentanza di Bruxelles». Ma non abbiamo, a Bruxelles, già tre rappresentanze (per il Belgio, la Ue e la Nato) con relativo personale (tre ambasciatori, 33 altri diplomatici, 145 dipendenti)? Non bastavano?
«È ora di chiedersi a cosa servano tutti questi ambasciatori concentrati in Europa. In Francia ne abbiamo quattro (tre a Parigi per la Francia, l’Unesco e l’Ocse e uno a Strasburgo per il Consiglio d’Europa), due a Vienna per l’Austria e per l’Onu…» elenca il senatore Claudio Micheloni, pd eletto in Svizzera, che ha chiesto il riordino della rete diplomatica al grido di «meno ambasciate nell’Ue, più servizi consolari nel mondo». Due conti: dentro i confini europei abbiamo otto rappresentanze permanenti (Ue, Nato, Ocse…) e 26 ambasciate per un totale di 898 dipendenti, di cui 143 diplomatici (ben 35 sono ambasciatori). Gli uffici consolari, a cui fanno capo gli sportelli che concretamente erogano servizi ai nostri emigranti, nel 2012 erano 22 e non arrivavano a 440 dipendenti. Per risparmiare ora si tagliano gli sportelli, ma le feluche sono salve. A caro prezzo: il nostro ambasciatore a Berlino guadagna 109 mila euro lordi l’anno più 30 mila euro netti al mese di indennità di servizio (Ise), mentre quello tedesco di stanza a Roma viaggia sui 102 mila euro annui, e la sua Ise si ferma a 1.894,75 euro.
Risparmiare si può. La Ue sta varando un servizio diplomatico comune, il Seae, con cui la nostra diplomazia potrebbe collaborare in Europa e condividere nuove sedi in Africa o in Asia; il tutto con risparmi notevoli. Non risulta che le feluche italiane abbiano fatto a pugni per essere arruolate. Peccato. Lo aveva proposto la commissione sulla spending review interna voluta dall’ex ministro Giulio Terzi, insieme a tante buone cose: riformare l’Ise, rinegoziare i contributi agli organismi internazionali, imitare Francia, Germania e Spagna, assumendo all’estero «una percentuale di impiegati locali oscillante tra il 60 e il 70 per cento», anziché mandare metà del personale dall’Italia pagando 368 milioni di Ise solo nel 2013.
E che dire del patrimonio immobiliare? Il demanio possiede all’estero 296 immobili, dall’ossario di El Alamein al palazzo dell’ex cancelleria all’Aia, ormai in stato fatiscente. Quanto valgono? Mistero. I cespiti in vendita per ora sono 28, ma sono spesso difficili da collocare, come l’ex consolato di Amburgo, chiuso da due anni. In compenso spendiamo 30 milioni l’anno di affitti. Memorabile nel 2011 lo scandalo del consolato di Brisbane, in Australia: 274 metri quadrati a 217 mila dollari l’anno, il 25 per cento più dei vicini. Un affare per la padrona di casa, Lisa Ferro, compagna del viceconsole Francesco Capecchi.
Altro che spending review. Non si toccano mai «gli sprechi veri», accusava nel 2010 il sindacato Filp davanti alla commissione Esteri del Senato. Per esempio i 2,5 milioni l’anno per i coordinatori del nulla, cioè i 50 diplomatici (dato 2009) che alla Farnesina sono addetti a coordinare «temi economici trasversali» o «tematiche della comunicazione relativa alla promozione e alla diffusione di informazioni sulle attività di cooperazione allo sviluppo e per le tematiche attinenti alla partecipazione dell’Italia al Fondo globale di lotta all’aids, alla tubercolosi e alla malaria».
E che dire delle generosissime consulenze esterne? Il caso da manuale è il commissariato generale per l’Expo di Yeosu in Corea e l’Expo orticola di Venlo, nei Paesi Bassi, nell’anno 2012. A capo della struttura nel 2010 è stato nominato un ambasciatore a riposo, Claudio Moreno, assistito da una pletora di consulenti e collaboratori ben retribuiti. Moreno, già condannato a tre anni per tangenti (e poi prescritto), grazie all’Expo ha guadagnato circa 30 mila euro al mese per 26 mesi, tassati solo in parte e in aggiunta alla cospicua pensione. Ad agosto 2013 è stato poi indagato dalla Procura di Palermo per l’appalto della comunicazione Expo: turbativa d’asta e corruzione i reati ipotizzati.
Ma sono proprio necessari tanti consulenti d’oro? Su 1.019 diplomatici in servizio, nel 2012 non ce n’era uno a cui affidare le due vetrine dell’Expo? E il 1° giugno 2013 c’era proprio bisogno di arruolare, a 15 mila euro lordi per tre mesi di lavoro, una consulente speciale per il ministro Emma Bonino? Evidentemente sì. Si chiama Elisabetta Olivi, detta «Betti». L’ex portavoce di Mario Monti a Palazzo Chigi. (2-fine).