Silvia Pieraccini, Il Sole 24 Ore 5/12/2013, 5 dicembre 2013
PRATO, ORA LA CINA È PRONTA A COLLABORARE
Una svolta in direzione della legalità. Nel giorno del lutto cittadino per la morte di sette operai cinesi nel capannone-dormitorio in cui si confezionavano abiti di bassa qualità e basso costo, andato a fuoco nella zona industriale, Prato segna un punto nelle relazioni tra le due comunità, finora ostili e distanti. «Questa tragedia ci ha risvegliato – ha detto ieri la console cinese a Firenze, Wang Xinxia, nel palazzo comunale in cui si è svolto il consiglio straordinario per commemorare la tragedia di domenica scorsa – mi auguro che tutti imparino da questa lezione pesantissima: dobbiamo dire no all’illegalità e avviare un percorso più serio per riorganizzare le imprese cinesi, osservando con rigore le leggi italiane e eliminando ogni rischio per i nostri lavoratori».
È l’impegno che Prato, antico e potente distretto tessile oggi acciaccato dalla crisi e disorientato dalla crescita incontrollata di un distretto "parallelo" cinese dell’abbigliamento low cost (3.700 aziende, 30-35mila lavoratori tra regolari e clandestini, due miliardi di giro d’affari per il 50% sommerso), aspettava da anni. La tragedia è servita a scoperchiare un vaso in ebollizione. «D’ora in poi collaboreremo con le istituzioni italiane», promette commossa la console, guadagnandosi gli applausi della sala gremita, che oltre al sindaco Roberto Cenni e alla giunta e al consiglio comunale al completo, vede riunite tutte le istituzioni, pubbliche e religiose, e le categorie economiche e sociali della città più il presidente della Regione, Enrico Rossi. Il premier Enrico Letta e il ministro dell’Interno Angelino Alfano hanno inviato messaggi per garantire impegno e attenzione. Letta sottolinea «la volontà del governo di dar seguito ad azioni urgenti e concrete che coinvolgano tutte le istituzioni», come sollecitato anche dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, mentre Alfano afferma «l’ineluttabilità di uno sforzo eccezionale e congiunto della squadra-Stato».
Cenni, primo sindaco di centrodestra nella storia di Prato, eletto nel 2009 sull’onda dell’insofferenza per la dilagante illegalità cinese, apprezza l’impegno di collaborazione congiunta che arriva anche da Prefettura e Provincia di Prato e dalla Regione Toscana, ma chiede garanzie perché non si ripeta «una tragedia annunciata»: «Mi aspetto molto più di quanto è stato fatto finora dal governo cinese, dallo Stato e dalla Regione – sottolinea – perché quando non viene rispettata la legge c’è una fetta della città che ci guadagna, ma la maggior parte ci perde». Una città che ora «deve reagire» secondo il vescovo Franco Agostinelli, che rivela di aver colto «assuefazione e rassegnazione» per un fenomeno così dilagante ed esteso, che ha prodotto «schiavi cinesi che guadagnano meno di 500 euro al mese», come ammette la ex sindacalista vicepresidente della Provincia, Ambra Giorgi. «È una grande sfida – aggiunge il presidente toscano Rossi, che da giorni ripete la volontà di cambiare marcia per ripristinare la legalità – occorreranno scelte coraggiose e bisognerà uscire dalle strade battute finora per accelerare il contrasto, ma ce la faremo».
Le misure dovranno servire innanzitutto a bloccare il formidabile turn over delle aziende cinesi, veri e propri laboratori "con le ruote" capaci di spostarsi, col loro carico di macchine per cucire, da un indirizzo all’altro dalla sera alla mattina; e a controllare gli abiti in uscita dai cosiddetti "pronto moda" cinesi, cioè i committenti che affidano la cucitura all’esterno a connazionali e vendono il prodotto finito sui mercati di mezzo mondo. Ma le misure, tutti ne sono convinti, dovranno cercare anche di contrastare quella che non si configura più solo come illegalità economica ma come criminalità economica cinese. Prima di tutte quelle organizzazioni che fanno incetta della ricchezza guadagnata illegalmente sul territorio di Prato per riciclarla spedendola in Cina attraverso i money transfer: un fiume di denaro che parte sottoforma di rimesse, schizzato dai 20 milioni di euro del 2005 ai 464 milioni del 2009 (quasi 1,3 milioni al giorno), per poi oscillare tra 162 milioni (2010), 226,5 (2011) e 187,6 milioni (2012) negli ultimi tre anni, quelli seguiti alla maxi inchiesta coordinata dalla procura antimafia che ha accertato l’invio in Cina, tra il 2006 e il 2010, di 4,5 miliardi di euro frutto di reati da parte delle imprese cinesi che operano in Italia, soprattutto a Prato.