Antonio Ferrari, Libero 5/12/2013, 5 dicembre 2013
«HO VISTO MORIRE I MIEI». MA YASSER SAPEVA TUTTO
[Per gentile concessione dell’autore e dell’editore pubblichiamo un estratto del libro di Antonio Ferrari Sgretolamento- Voci senza filtro (Jaca Books). L’intervista è ad Arafat.]
Arafat era uno strano personaggio, difficilmente classificabile. Gli piaceva comandare fin da ragazzo. Era poco affidabile, arrogante e cinico. Ma soprattutto adorava stupire. Nel 1984, dopo il voltafaccia dei fratelli della diaspora palestinese, chiese ai comandanti delle due navi che portavano i combattenti nell’esilio di Tunisi di fare una sosta in un porto egiziano per incontrare l’allora presidente Hosni Mubarak. Molti pensarono che il rais avesse compiuto un gesto generoso, ricevendo l’esiliato. In realtà, Arafat fece uno straordinario favore proprio a Mubarak, abbracciandolo con entusiasmo. Il motivo è presto detto. Il presidente egiziano era stato messo all’indice perché il suo predecessore, Anwar Sadat, aveva firmato la pace con Israele, e lui l’aveva confermata. L’omaggio del leader dell’Olp aprì la strada al ritorno del Cairo nella Lega Araba. Bisogna però ammettere che Arafat aveva anche un altro motivo di vicinanza con Mubarak. Il rais era inviso alla Siria di Hafez al-Assad, come lo era il presidente dell’Olp. In pubblico, aveva definito il presidente siriano «un fratello che sbaglia». In un paio di occasioni chiesi ad Arafat: «Chi è per lei Hafez al-Assad? Un killer o un fratello?». Lui mi osservò per un attimo, prima di trovare la risposta adeguata: «Assad? Killer and brother together». È, assieme, un killer e un fratello.
Fra tutte le interviste ad Arafat, ne propongo una, pubblicata dal «Corriere della Sera» il 4 ottobre 1985, in prima pagina. Erano passate trentasei ore dall’attacco israeliano al quartier generale dell’Olp a Tunisi, sede dell’esilio del vertice palestinese: decine di morti, una carneficina. Arafat, illeso, ci attendeva. E propinò la ricostruzione più fantasiosa e incredibile: non tanto del raid, quanto della sua testimonianza.
«Mi volevano morto, ma eccomi qui», dice sorridendo.
Cominciamo. Anzi chi comincia è un bravo collega americano, Jonathan Randall del «Washington Post».
Signor Arafat, dove si trovava l’altro giorno alle 10,07, quando gli aerei israeliani hanno bombardato il suo quartier generale?
«Sulla spiaggia di Zahra, a due chilometri dal mio ufficio».
Quindi ha visto tutto…
«Sì, ho visto tutto. Il primo missile ha centrato la mia casa. Un quarto d’ora di ritardo e non sarei qui con voi».
Qual è stata la sua prima reazione? Fermarsi dove si trovava, oppure tornare di corsa al villaggio?
«Tornare di corsa al villaggio».
Ha pregato, in quel momento?
«Sì, ho pregato. Sono un credente convinto. Sono nato in Terra Santa».
Si aspettava questo attacco?
«Mi aspettavo qualcosa del genere ».
Perché la volevano uccidere proprio adesso?
«Non lo so».
Perché lei accusa gli Stati Uniti d’America?
«Sono rimasto attonito nel leggere le dichiarazioni di Larry Speaks, e poi quelle del presidente Ronald Reagan. Per me il messaggio è chiarissimo: gli Usa si ritirano dall’iniziativa di pace giordano-palestinese»
Lei, l’altra mattina, ha contato gli aerei israeliani?
«Sì, erano otto, esattamente come ha sostenuto Rabin».
E lei è convinto che gli israeliani non avrebbero potuto far tutto da soli…
«La mia è un’analisi militare. Otto aerei che bombardano hanno bisogno di altri otto aerei di copertura. Il viaggio, andata e ritorno, è stato di 4.800 chilometri, e quindi ciascuno di questi sedici aerei doveva essere rifornito per tre volte, due all’andata e una al ritorno. Per rifornire in volo occorrono gli Hercules e il Boeing 707. Mi risulta che gli israeliani abbiano soltanto due Hercules e un 707. Quindi, sono stati sostenuti da basi mediterranee».
Dove ha preso tutte queste informazioni tecniche?
«Basta rivolgersi all’Istituto di studi strategici di Londra».
Ma allora le sue sono teorie, non informazioni…
«Le questioni tecniche sono una cosa, le informazioni di cui dispongo un’altra. E poi Israele ha detto di aver informato gli americani. Come avrebbero potuto, altrimenti, almeno venti aerei starsene in cielo per sette ore, e rifornirsi tre volte? Questa operazione è stata coordinata dalla Sesta Flotta».
Da quale base, secondo lei sarebbero stati coordinati? Dalla Sicilia? Dalla Turchia?
«Lo dirò al momento opportuno. Non ora».
Lei forse vuole accusare l’Italia? Oppure la Francia?
«No, assolutamente. Siamo molto grati a Mitterrand, a Craxi e a González per la loro onorevole e autorevole condanna di questa aggressione. Anche il giornale vaticano, «L’Osservatore Romano», ha condannato il raid. Sono grato al Santo Padre».
Signor Arafat, pensa davvero che gli americani fossero d’accordo con gli israeliani per eliminarla?
«Non fino a questo punto. Però l’operazione è stata fatta contro l’Olp e contro un uomo, il sottoscritto, che assieme a re Hussein di Giordania ha firmato un accordo di pace. Raccolgo il messaggio, signor presidente Reagan! E devo anche dirle che è un disastro per il prestigio di una superpotenza ».
Tel Aviv sostiene di aver agito per rappresaglia, dopo l’assassinio di tre turisti israeliani a Cipro, assassinio eseguito da palestinesi. In pratica, vi accusano di essere i mandanti dell’attentato.
«È la solita bugia. Fecero la stessa cosa a Beirut, prima di invaderla. Noi abbiamo affermato pubblicamente, due volte, che con quell’episodio non c’entravamo: sono gli israeliani che si servono delle menzogne come pretesto. Non è stato il generale Bar Leva a dire che, ovunque vi sia un ufficio dell’Olp, quell’ufficio non potrà considerarsi al riparo dalla determinazione israeliana di colpire i terroristi palestinesi? ».
Lei ha detto, alla televisione, che i tre israeliani di Cipro erano delle spie…
«Mi sono limitato a riportare quanto avevo letto, il 26 settembre, sul «Jerusalem Post».
Pensa che la Siria sia soddisfatta di quel che è accaduto qui, a sud di Tunisi?
«I siriani continuano le loro aggressioni a Tripoli in Libano, servendosi di gruppi settari».
Come reagirà l’Unione Sovietica dopo il sequestro dei suoi diplomatici a Beirut? Ieri è stato fatto ritrovare un cadavere…
«Non so come reagirà l’Urss. Dovreste chiederlo a Mosca. Posso dire soltanto che condanno fermamente questo attacco ».
Covate propositi di vendetta contro Israele?
«Siamo contro le rappresaglie, ma il nostro popolo resterà nelle terre occupate e agirà contro il terrorismo di Stato e contro la giunta militare israeliana ».
Che cosa pensa degli attentati in Italia? Nei giorni scorsi un ragazzo palestinese ha lanciato una bomba contro un ufficio della British Airways…
«Le basta sapere che quel ragazzo era arrivato dalla Siria? Questa è la risposta all’atteggiamento positivo della signora Thatcher in merito all’accordo giordano-palestinese».
Il racconto che Arafat, stuzzicato da noi giornalisti, ci propinò non stava né in cielo né in terra. La verità, come poi si sarebbe saputo, era un’altra. Esisteva un accordo non scritto tra i vertici del potere mondiale di non uccidere i leader. Yasser Arafat si salvò soltanto perché una provvidenziale telefonata lo avvisò in tempo.
Alla fine di quell’intervista, mi avvicino ad Arafat, che accetta l’ultima domanda.
Signor presidente, è vero che una volta, nel Kuwait, lei stava per sposarsi?
«Sì, è vero, ma lei sfortunatamente mi lasciò».
È probabilmente l’unica verità di quell’incredibile incontro.