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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

COM’È MODERNA VIOLETTA ALLA SCALA


VIOLETTA detta La Traviata, muore crollando su una sedia, con un ultimo sussulto di vita; sola, in mezzo a una stanza vuota, vestaglietta e ciabatte discount, mentre gli inutili uomini che hanno corroso la sua vita se ne stanno in un angolo, già lontani dalla sua tragedia.

I DUEMILA spettatori under 30 che mi circondavano ieri sera, nell’anteprima solo per loro, (alla “prima” del 7 dicembre sarà presente il presidente Napolitano) alla fine si sono alzati in piedi, lanciati in un lungo scrosciante applauso, gridato come a un concerto di Lady Gaga; a tutti, soprattutto ad Alfredo e a Germont, superando poi ogni fragore per la davvero meravigliosa Violetta, appassionata, dolente, furibonda, dolcissima. Applausi anche durante e alla fine di ogni scena. Durante tutto lo spettacolo quel pubblico speciale, soprattutto ventenne, da 10 euro a poltrona, mi ha comunicato una calda, a tratti sofisticata commozione, che di solito i ragazzi non cercano quando vogliono divertirsi, ma che fa parte della loro vera vita. E’ un sentimento che i giovani temono, ma qui, storditi, blanditi da una musica di travolgente emotività, che sentono di conoscere da sempre, anche se non sono mai stati all’opera, si lasciano trascinare dal dolore di questa donna, giovane come loro, che si sta spezzando per un evento inaspettato, insostenibile ed eterno, quindi anche molto contemporaneo, che è l’emozione d’amore: un amore così intenso da diventare una malattia da cui non si guarisce, di cui appunto, si muore.
Violetta 2013 non può morire di tisi, come le fragili fanciulle o le etere dell’800, se mai oggi potrebbe finire ammazzata da un innamorato respinto o stufo: invece qui si spegne come un Verdi o un Dumas figlio, contemporanei, la immaginerebbero, consumata da un male che non nasce da una debolezza femminile, dal ruolo di vittima dei rapporti personali e sociali, ma da una specie di superiorità etica, dalla certezza di una passione insondabile, e anche dall’orgoglio di una solitudine che la salva dal cinismo mercantile degli uomini. O se si vuole essere ancor più moderni, magari dalla delusione e dalla barba di aver rinunciato a una spensierata ricca vita per un provincialotto come Alfredo; che da lei, ormai povera e morente, arriva tutto contento, “Parigi o cara noi lasceremo”, con un mazzo di fiori e una scatola di cioccolatini: e mentre lei langue e geme d’amore, più di là che di qua, lui va in cerca di una vaso per i suoi fiori e le mette in bocca un pasticcino.
La Traviata, vecchia di 160 anni, apre per la prima volta una stagione scaligera, diretta da Daniele Gatti (per lui alla fine boati di entusiasmo), e con la regia, le scene, i costumi del regista più apprezzato, richiesto e premiato del momento, il russo Dmitri Tcherniakov (che non si è mostrato in palcoscenico), un giovanotto dall’aria gentile e la barbetta nera, di 43 anni. Cantanti supremi nei loro ruoli, dalla bionda e sinuosa soprano tedesca Diana Damrau (Violetta), al bel tenore polacco Piotr Beczala (Alfredo), al baritono serbo Eljko Lucic (Germont).
E’ l’ultima inaugurazione, la nona, del sovrintendente Stephane Lissner, che per contratto avrebbe dovuto lasciare la Scala nel 2017, quindi dopo altre due inaugurazioni («E mi spiace di non aver avuto il tempo per aprire una stagione con un’opera nuova») e che invece ha scelto di andarsene, a luglio 2014, deluso dalla guerra furibonda e scema che sempre si scatena attorno alla Scala, per andare a dirigere i due teatri dell’Opera di Parigi, chiamato dal presidente francese Hollande. «Ma quella della Scala è stata per me la più bella avventura, a cui ho dato tutto me stesso. Non sempre sono stato contento dei risultati, ma di questa Traviata sono entusiasta, con un direttore d’orchestra geniale, un regista immenso e grandi interpreti. La storia di Violetta e la musica di Verdi hanno una grandezza che li rende contemporanei: lo erano a metà Ottocento, lo sono oggi. Ed è mia la responsabilità creare le condizioni perché un’opera non sia solo piacere, ma consenta anche di riflettere su questo presente difficile e ansioso».
Sentimento d’amore di sempre, scene di interni senza tempo e abiti, non costumi, del genere vintage, come presi da certe collezioni famose come quella di Anna Piaggi. Ecco dunque la gran festa del primo atto, con maschere di zingarelle e toreri secondo Verdi e il librettista Piave, secondo Tcherniakov semplicemente volgare nei travestimenti e nei comportamenti che ricordano le serate in terrazza della Grande bellezza di Sorrentino. Non esistendo più la fortunata professione di cortigiana, ed essendo Violetta troppo intelligente per essere un’Olgettina da pochi euro, lei è una signora un po’ vivace, come tante. E il presente, non solo in scena, è molto simile a quello corrotto e sfrenato della Parigi di Napoleone III, con i soliti fiumi di champagne e l’obbligo all’arricchimento. Alfredo vuole Violetta subito, ma lei prima non ne vuole sapere, “Libiam ne’ lieti calici”, come uno dei tanti noiosi, ma poi si incanta, e poi ancora si pente, “Sempre libera degg’io”, ed ecco il risultato: nella cucina di campagna finto antica come piace ai nuovi ricchi di sempre, la passione è diventata domestica, abitudinaria.
“Dei miei bollenti spiriti” ormai placati, Alfredo impasta la pizza e affetta la verdura, Violetta è spettinata e in ciabatte, stile moglie. Ma a sconvolger l’idillico menage, arriva il non suocero Germont, in doppio petto commendatizio celeste e al collo la pashmina in tinta, a chiedere alla non nuora di piantarla lì, perché “pura siccome un angelo Iddio mi diè una figlia”, e si immagina oggi con un moralismo più monetizzabile, che sarebbe meglio se la peccatrice tornasse ai suoi peccati, lasciando libero Alfredo per un avvenire meno appassionato ma più redditizio. Violetta, già distrutta dall’amore per quell’insipido giovanotto, tipica scelta delle donne di valore, lo terrorizza gridando “Amani Alfredo, amami quanto io t’amo”. Poi se ne torna tra i suoi ricchi evasori fiscali e Alfredo furibondo di gelosia finalmente tira fuori del denaro, “Or testimon vi chiamo che qui pagata l’ho!”.
Terzo atto, Violetta è sola con la fidata amica Annina identica alla star della moda Giusi Ferrè: avendo venduto tutto per mantenere l’amato di cui si sono perse le tracce, non ha più neppure il letto, ma solo una trapunta per terra e molti liquori e farmaci per tenersi su. Il superfluo giovanotto pentito torna e promette “Parigi o cara noi lasceremo”, il medico scuote la testa, Germont si assicura che non ci sia più nulla da fare, e infatti, “Gran Dio morir sì giovane”, e su una sedia poi.