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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

UN DRONE PER AMICO – [UN CIELO PIENO DI ROBOT]


Si consolerebbe Isaac Asimov, che aveva indicato come “Prima legge della robotica” il divieto per le macchine pensanti di recar danno agli esseri umani. L’autore di Io, Robot, scomparso nel ’92, si stava certamente rivoltando nella tomba a vedere le imprese più recenti dei droni assassini, protagonisti di omicidi mirati in mezzo mondo, dallo Yemen ai Territori palestinesi, dal Pakistan alla Cecenia. Ma ora, finalmente, gli automi volanti destinati alle attività civili si prendono la rivincita.
A rilanciare il tema con clamore ci ha pensato Jeff Bezos, patron del colosso di vendite on line Amazon: entro cinque anni, ha promesso, sarà in grado di far consegnare libri e merci direttamente da un drone sulla porta di casa dell’acquirente. E tutto questo entro mezz’ora dal clic finale della transazione on line. Ma soprattutto, garantisce Bezos, «senza intervento umano». In altre parole, si tratterebbe di droni che viaggiano in autonomia, ovviamente legati a un piano di volo che presuppone una normativa generale dettagliata.

Le visioni di Bezos sono state riprese da Google, che ha sottolineato il suo impegno nello studio degli androidi e che un giorno potrebbe spedirci alla porta un fattorino robot, arrivato a bordo della già nota auto senza guidatore. Più spirito ha mostrato la catena di librerie britanniche Waterstones, che ha anticipato scherzosamente sul suo sito web il lancio di un servizio consegne affidato a gufi e civette, in perfetto stile Harry Potter. L’unico problema è che bisognerà aspettare anni prima di rendere operativo il sistema, «perché ci vuole un sacco di tempo ad addestrare gli uccelli e noi abbiamo avuto l’idea solo questa mattina».
Al di là dell’ironia, l’annuncio dell’uso di droni al posto dei pony express è un punto di non ritorno perché “sdogana” la prospettiva di un utilizzo quotidiano. Ma in realtà la diffusione di aerei senza pilota a bordo è già in fase di esplosione rapidissima. L’associazione dei costruttori (Auvsi nell’acronimo Usa) prevede un boom economico non appena la Federal Aviation Administration, nel 2015, darà il via libera ai voli dei droni integrandoli nel normale traffico aereo. Le stime dei costruttori parlano di un giro d’affari sopra i 13 miliardi di dollari nei primi tre anni, e 82 miliardi in un decennio, con centomila nuovi posti di lavoro negli Usa. Insomma, esperti e aziende sono entusiasti: c’è un universo nuovo, un Far West aereo da conquistare, nei collegamenti, nei trasporti, negli affari, nella sorveglianza e anche nelle operazioni umanitarie.
Quest’ultimo uso impegna in genere le stesse macchine utilizzate per missioni di controllo dai militari: è il caso dei “Falco” costruiti in Italia da Selex-Es, un’azienda del gruppo Finmeccanica, che l’Onu sta utilizzando per il controllo dall’alto della missione Monusco nella Repubblica democratica del Congo. Oppure degli “Strix” prodotti da Alpi Aviation e utilizzati in Afghanistan per soli compiti di sorveglianza.
Molto più impegnativa la sfida dell’inventore californiano Andreas Raptopoulos, che ha lanciato l’idea di Matternet: una rete di droni — dunque concreta, non virtuale — capace di garantire il trasporto di beni anche dove la rete stradale non è disponibile. «C’è oltre un miliardo di esseri umani che non possono fare affidamento sulle strade per tutto l’anno», sottolinea Raptopoulos. E illustra i primi esperimenti, perfettamente riusciti: la consegna di farmaci e attrezzature mediche nelle zone inaccessibili di Haiti dopo il terremoto del 2010, e il rifornimento di medicine e attrezzi diagnostici ai piccoli laboratori medici nelle regioni periferiche della Repubblica Dominicana.
Prossima tappa, il ritiro di campioni di sangue per tenere sotto controllo la diffusione del virus Hiv nelle zone rurali del Lesotho. In prospettiva, l’organizzazione di Raptopoulos vede grandi possibilità per la sua rete di droni nella risposta ai disastri naturali, oppure nella consegna di rifornimenti dove non ci sono strade, magari per favorire il ripopolamento delle zone isolate, e naturalmente nei servizi cittadini, per superare i problemi di traffico con le stesse modalità ipotizzate da Amazon.
In attesa del varo di una “internet dei droni”, le sperimentazioni si diffondono anche in Italia. Sono i primi impieghi, timidi ma promettenti: si va dalla sorveglianza contro le frane, con due “esacopteri” spediti a sorvegliare le Dolomiti dagli agenti del Corpo Forestale di Belluno, al controllo del Ponte di Rialto, sorvegliato in vista del restauro dai tecnici del Comune di Venezia con una telecamera digitale montata su un piccolo drone.
C’èanchechiha“apertolastrada” già da diversi anni, usando aeromodelli telecomandati: Massimo Sestini, fotografo di gossip e non solo, porta in cielo una piccola macchina fotografica usando un giocattolo da 350 euro, che si comanda direttamente dall’iPhone. «Ma nessuna immagine ottenuta con un drone ha la qualità necessaria per i giornali. Un giocattolo non può sostituire la reflex con supertele 600 millimetri e duplicatore di focale, imbracciata da me mentre volo in elicottero», dice Sestini. Insomma, niente droni in volo sul castello di Bracciano durante i matrimoni dei divi: le normative sui droni sono molto severe e alla fine «spiare con la macchina fotografica è diverso che spiare con una telecamera di sorveglianza».
«Queste con i piccoli droni sono operazioni al limite dell’illegalità », commenta Massimo Petrusa di Alpi Aviation, «perché nel nostro Paese manca una legislazione adeguata. In teoria questi piccoli apparecchi dovrebbero solo volare in spazi privati, perché non c’è un’autorità in grado di dare le certificazioni necessarie e stabilire le regole». E questo limita anche le prospettive economiche: «Noi riceviamo continuamente richieste di interlocutori come i Vigili del Fuoco, o la Protezione civile, ma dobbiamo respingerle perché per ora non ci sono le regole adeguate», si lamenta Petrusa.
Invece il resto del mondo, è il caso di dirlo, “vola”: i russi hanno già testato un elicottero senza pilota, in Gran Bretagna le sperimentazioni sono arrivate agli aerei passeggeri, già testati con il pilota a terra e con a bordo un comandante “disoccupato”. Ma resta la paura dell’imprevisto, che un essere umano può affrontare sempre meglio di un software. E più ancora che i capricci del tempo, l’incubo è quello di un hacker che possa entrare nelle comunicazioni fra aereo e base, per dirottare poi il velivolo dove vuole o magari farlo cadere. Non è impossibile: lo ha dimostrato l’esperto tedesco Hugo Teso, ma prima ancora di lui c’erano riusciti i Taliban, che avevano intercettato le immagini dei Predator americani usando un programma scaricato gratuitamente da internet.