Pierluigi Panza, Corriere della Sera 5/12/2013, 5 dicembre 2013
«TRAVIATA», FINALE A SORPRESA VIOLETTA MUORE SU UNA SEDIA
Non morirà su un canapé dell’Ottocento o nel suo letto di organza tra pile di cuscini , ma neppure in ospedale, come già si è visto in scena. Non si dissolverà come l’eterea Mireille Delunsch messa in scena da Peter Mussbach ad Aix-en-Provence nel 2003 e neppure davanti al grande orologio, dove un magistrale Willy Decker nel 2005 a Salisburgo fece spirare la bella Anna Netrebko. Non morirà neppure, come già anticipato dal sito Dagospia, su una lavatrice, come da ironiche voci dal sen fuggite giorni fa.
No. La Dama delle Camelie del bravo regista russo Dmitri Tcherniakov (di cui si sono visti alla Scala il Giocatore di Prokofiev ed Evgenij Onegin di Cajkovskij) è una donna sexy ma di campagna, intenta alle «buone cose» gozzaniane. Vive in cucina tra pentole di rame e boiserie dove prepara le fettuccine all’Alfredo, stende la pasta con il mattarello e serve il tè a quell’orco di Giorgio Germont che viene a dirle di lasciare il figlio. Ci sono lampadari per le feste, ma solo un paralume in cucina e angioletti appesi, quasi un richiamo a quella statuetta di Eros che Luchino Visconti, il realista con licenza di simbolicità, aveva messo nella sua Traviata del ‘55 e ‘56 insieme a una fontana che non zampilla, a vasi di fiori senza fiori, a bastone e cappello sul tavolino di vimini che sembrano una natura morta, ossessivo annuncio della fine.
Dove Visconti aveva scelto il nero nel primo atto, il bianco nel secondo e il rubino nel terzo per la Callas, e Decker il rosso per la Netrebko, Tcherniakov fa vestire la Damrau di blu scollato con maxicollana Swarovski-style, che brinda tra ospiti vestiti «come noi», dicono i ragazzi della primina andata in scena ieri sera al Piermarini. C’è quella «con il top color carne che sembra nuda», osservano, e ci sono i boys in maglione giallo, azzurro. Alla festa in casa di Flora trionfano il colore rosa e il carnevale. Sarà una Traviata tutta in chiuso quella del prossimo 7 dicembre, serrata come l’ossessione dell’amore negato. Alfredo passa dal nero al grunge con disinvoltura. Niente apparato Secondo Impero, ma sedie di legno sulla quali vivere e morire per la Violetta-Marilyn di Tcherniakov. Sola, in una stanza spoglia con una sola finestra, Violetta muore su una sedia di legno chiaro, con a fianco e bottiglie vuote, un telefono e un piumone con cui coprirsi.
Piace a Chiara lo spettacolo, piace a Giorgio, Pietro; ascoltano Ludovico Einaudi e i Radiohead… sono preparati, storia già sentita quella di Dumas figlio il quale, nelle lettere, ricordava come Madame du Plessis non fosse una donna traviata bensì una giovane appena un passo al di là della morale borghese e in grado di rientrare nel recinto di moglie.
Alcuni adulti, forse, vorranno turarsi il naso di fronte all’ambientazione non da Parigi Secondo Impero. Ma sin dalle prime messe in scena, molte Traviate sono state trasposte nel tempo — o verso il Settecento o verso il Terzo Impero — per non turbare i borghesi mostrando da vicino i loro vizi. Anche la Callas nella regia di Visconti moriva su una poltrona avvolta in una sopraveste nera da alcuni chiamata «cappottone». Oggi può morire su una sedia tra bottiglie vuote. Signori miei «giudizio»: il verismo non si è mai adattato a Traviata . E le critiche all’assenza di realismo colpirono persino «il realista» Visconti. Nel ’56, sul «Corriere», Franco Abbiati lamentò che «volendo ripetere il vero realistico», Visconti «tradì il vero verdiano»: troppe donne sculettanti, troppe scarpette al vento, poche barbe e un giardino non francese: era una rovina settecentesca dietro a un cancello chiuso. Orio Vergani parlò di una messa in scena che non teneva conto delle foto di Nadar, degli acquerelli di Costantin Guys dei quadri di Jean Béraud. Poi chiuse Eugenio Montale: «La vicenda di Traviata — scrisse — va oltre il naturalismo, esprime l’eterno dramma interiore». Questo è quello che è piaciuto ieri ai ragazzi.
Pierluigi Panza