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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

DAI RISULTATI MAI PROVATI AL PROTOCOLLO «SEGRETO» TUTTE LE FALLE DI QUEL METODO


Il pronunciamento del Tar del Lazio è solo l’ultimo capitolo della vicenda legata a Stamina e al suo metodo, che ha trovato albergo più sui media e nelle aule dei tribunali che negli ambiti scientifici tradizionali.
Del resto il rapporto fra Stamina e la comunità scientifica è sempre stato a dir poco difficile, perché si è incagliato su un nodo fondamentale, quello della pubblicazione dei dati su riviste accreditate e della trasparenza e della ripetibilità del metodo, oltre che su altri versanti. Riassumiamo i termini sostanziali del conflitto attraverso le principali tappe della vicenda.
Tutto ha avuto la sua alba nel 2007, quando Davide Vannoni, oggi presidente di Stamina Foundation, conosce un gruppo di ricercatori ucraini e russi che studiano un metodo per differenziare le cellule staminali mesenchimali del midollo osseo in cellule nervose. Vannoni invita in Italia a lavorare l’ucraina Elena Schegelskaya e il russo Vyacheslaw Klymenko, disponendo le attrezzature necessarie allo scopo nella sede di una sua società a Torino, la Cognition.
La Procura di Torino, però, apre un’indagine, perché nella sede della Cognition sarebbero stati effettuati trattamenti su diverse persone con cellule staminali. Vengono formulate varie ipotesi di reato tra cui associazione per delinquere finalizzata alla truffa e somministrazione di medicinali guasti

L’ispezione dell’Aifa
Nonostante ciò il trattamento con metodo Stamina continua, presso gli Spedali civili di Brescia. Nel maggio 2012, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ordina un’ispezione, insieme ai carabinieri del Nas, nell’ospedale bresciano. Lo studio dei campioni sequestrati non riscontra la presenza di cellule nervose in seguito a trattamento delle cellule di partenza.
Non solo, viene anche sottolineato che la concentrazione di staminali utilizzate è molto inferiore a quella usata comunemente in esperimenti di questo tipo. L’Aifa emette un’ordinanza con cui vieta prelievi, trasporti, colture e somministrazioni di cellule umane presso gli Spedali civili di Brescia in collaborazione con Stamina.

Il brevetto respinto
A questi riscontri Stamina ha opposto diverse spiegazioni e obiezioni. Ma è proprio su questo punto che si palesa il conflitto di fondo con la maggior parte della comunità scientifica, che ha sempre preteso che spiegazioni e obiezioni fossero dissipate con la pubblicazione del protocollo sperimentale. A tali richieste Stamina ha replicato che il metodo era consultabile su Internet, leggendo la richiesta di brevetto del metodo presentata alle autorità americane nel 2010. Qui però sono sorti nuovi problemi. Il primo è che una domanda di brevetto non contiene le stesse informazioni necessarie per una pubblicazione scientifica. Il secondo è che la domanda di brevetto risultava respinta, con diverse motivazioni, fra cui la mancanza di innovazione sostanziale rispetto a metodiche già esistenti.
Il terzo problema nasce dal fatto che nel 2013 la rivista Nature ha denunciato che nella richiesta di brevetto erano presenti due fotografie, decisive per la dimostrazione del metodo, che, in realtà, erano già state pubblicate in una ricerca del 2003 dal gruppo della Schegelskaya. Stamina ha sottolineato di aver sempre lavorato in collaborazione ai gruppi russi e ucraini, però il fatto che le fotografie fossero anteriori al 2007 indicherebbe che le condizioni sperimentali erano comunque diverse e quindi non ammissibili per una domanda di brevetto. Una situazione piuttosto lontana da quella che si potrebbe desiderare per sostenere le proprie ragioni e la propria credibilità

Le cartelle cliniche
Nondimeno la vicenda ha ripreso fiato a livello mediatico con i noti casi di persone che avrebbero comunque ottenuto miglioramenti con il trattamento Stamina e che hanno fatto ricorso a diversi tribunali per poter ottenere o la continuazione o l’inizio delle cure, in particolare presso gli Spedali civili di Brescia. Qui lo scontro con la comunità scientifica si è spostato su un altro piano. La domanda dei sostenitori di Stamina è sempre stata, in sintesi: perché gli scienziati non vogliono prendere atto di questi miglioramenti? La risposta, sempre in sintesi: perché questi miglioramenti possono non essere veri, non essere significativi, essere casuali, aneddotici e comunque non misurabili e confrontabili. Replica ulteriore, sempre in sintesi: perché i componenti della commissione che ha bocciato il metodo Stamina non hanno consultato le cartelle cliniche prima di dare il loro giudizio? Risposta sintetica: perché la commissione doveva valutare il protocollo, che è stato giudicato inadeguato, non le cartelle cliniche, che, isolate e al di fuori di una sperimentazione controllata, non possono avere valore probante.

Le cure compassionevoli
Ma allora perché non dare queste terapie come «cure compassionevoli»? Qui la risposta sarebbe molto complessa e richiederebbe un’analisi della Legge Turco e del regolamento europeo 1394/2007 che disciplinano questa materia, ma in buona sostanza, il problema di fondo rimanda, non solo, ma anche, ai già citati temi del protocollo e della sperimentazione.
Però la coscienza non dovrebbe dire che davanti a casi disperati si dovrebbe tentare tutto il possibile?
La replica degli scienziati in questo caso è che — in linea generale — se non si fissano dei criteri, il «tutto per tutto» potrebbe diventare qualsiasi cosa, anche più dannosa del male che si vuole curare. Una deriva senza regole, anche con le migliori intenzioni, sarebbe dunque pericolosa.
Luigi Ripamonti