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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

GUERRE, TRATTATI ED ESPROPRI LE ISOLE CONTESE NELLA STORIA


L’estremità occidentale dell’Oceano Pacifico è uno dei quadranti in cui si gioca la partita che definirà gli assetti geopolitici del mondo post-unipolare. È lungo questa frontiera strategica che uno dei pilastri dell’egemonia globale degli Stati Uniti — il dominio incontrastato sui mari — subisce la pressione della Repubblica Popolare Cinese, la potenza che più di ogni altra ambisce a rinegoziare spazi e regole dell’attuale ordine internazionale. La contesa tra Cina e Giappone riguardo alla sovranità sulle isole Senkaku/Diaoyu si iscrive oggi in questa dinamica revisionista di più ampia portata.
Le origini della controversia risalgono al gennaio 1895, quando — secondo la linea ufficiale del governo di Tokyo — le isole vengono incorporate nel territorio dell’Impero del Sol Levante, risultando disabitate e non censite sotto sovranità di alcuna nazione. Al termine della Seconda guerra mondiale il Trattato di pace di San Francisco affida agli Stati Uniti l’amministrazione delle Senkaku come parte della Prefettura di Okinawa, territorio che verrà infine restituito da Washington al controllo delle autorità giapponesi nel 1972. Sulla base di questi fondamenti storico-legali, Tokyo non si limita ad affermare la propria sovranità sulle isole, ma rifiuta in partenza di accreditare l’idea che sul tema possa formalmente esistere una contesa. Proprio questo, invece, è l’obiettivo di Pechino: se nel 1978 l’allora vice premier Deng Xiaoping mirava alla normalizzazione delle relazioni sino-giapponesi e parlava dell’opportunità di «mettere da parte la questione per qualche decennio, finché i tempi non fossero maturi», oggi a una diffusa retorica revanscista fa seguito una raffinata strategia da parte del governo cinese volta ad alterare lo status quo in modo graduale ma sempre più tangibile. Anche Pechino — come d’altronde Taipei, giacché anche la Repubblica di Cina a Taiwan reclama la sovranità sulle isole (qui note come Diaoyutai) — fa ampio uso dell’evidenza storica per sostenere la legittimità della propria rivendicazione, affermando che le isole Diaoyu compaiono già nelle mappe nautiche imperiali del XIV secolo e in una serie di documenti successivi esse sono individuate come territorio del Celeste Impero. Quest’ultimo è costretto a cederle al Giappone, in quanto parte dell’isola di Formosa (Taiwan), dopo la sconfitta nella guerra Sino-Giapponese del 1894-95. Ne consegue che la restituzione di Formosa alla sovranità cinese dopo la fine della Seconda guerra mondiale avrebbe dovuto includere le isole Diaoyu, e che la scelta di Washington di porle sotto l’amministrazione di Tokyo è illegale.
Ragioni politiche, economiche e strategiche influenzano la condotta di Pechino, la cui crescente assertività consuma quote sempre maggiori del capitale di fiducia che le autorità cinesi avevano accumulato nella prima metà del decennio scorso, in particolare a seguito della condotta virtuosa tenuta durante la crisi finanziaria del 1997. Sul fronte politico, il Partito comunista cinese fonda la legittimità della propria pretesa di mantenere il monopolio del potere all’interno del Paese sulla capacità di garantire una eccezionale performance economica, ma anche sull’efficacia nell’interpretare e rispondere a pulsioni nazionalistiche che esso stesso ha incentivato all’indomani della crisi del 1989, avviando pervasive campagne di promozione dello spirito patriottico. In termini economici, le isole Senkaku/Diaoyu non presentano un’utilità diretta, ma le acque adiacenti contengono risorse ittiche importanti, mentre si susseguono speculazioni sulla presenza di risorse energetiche potenzialmente molto estese sotto il fondale marino. Infine, l’ambizione strategica degli alti comandi militari cinesi è di compromettere la capacità statunitense di vincolare la proiezione della Repubblica Popolare nel Pacifico occidentale.

Giovanni Andornino*
*Ricercatore presso l’Università di Torino, dove insegna Relazioni internazionali dell’Asia orientale