Giorgio Vitali, Famiglia Cristiana 5/12/2013, 5 dicembre 2013
VI SPIEGO PERCHE’ VERDI ERA UN GENIO
La traviata ritorna alla Scala. L’opera più attesa e rischiosa inaugura la stagione 2013-2014 e chiude le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Ma perché La traviata è una sorta di mito? Cosa fa di quest’opera un evento, cosa racconta, qual è il suo grande segreto e quale la ragione dei rischi che corrono gli interpreti?
Lo abbiamo chiesto a Daniele Gatti, 52 anni, milanese: uno dei grandi direttori del nostro tempo. A lui la Scala ha affidato la prestigiosa inaugurazione. Lui che, a fine ottobre, ha celebrato Giuseppe Verdi al Regio di Parma con una straordinaria Messa da Requiem e un concerto dedicato a Verdi e Wagner, alla testa dell’Orchestre national de France, della quale è direttore.
«Dobbiamo eseguire La traviata», ci dice il direttore ormai applaudito in tutto il mondo e di casa a Vienna, Salisburgo, Bayreuth, «e non averne paura, senza guardare il passato e bloccarci. L’opera è stata il cavallo di battaglia di alcuni interpreti storici. Ma penso che tutto ciò che è storico debba essere lasciato alla storia. È sbagliato avere modelli di 50 anni fa. Quei grandi artisti hanno trovato equilibri che erano sinceri, e ancora oggi li ammiriamo. Ma Verdi non sarebbe contento se la sua Traviata diventasse una prova del nove o un esame da superare. È solo musica!».
Gli chiediamo di spiegare ai lettori di Famiglia Cristiana come sarà la “sua” Traviata. E troviamo le risposte alle nostre domande. «È la seconda volta che affronto l’opera: sono passati nove anni e il mio atteggiamento nei confronti del dramma è ancor più concentrato sull’aspetto di discrepanza sociale che quest’opera denuncia, sul sopruso operato nei confronti di un essere umano. Potremmo sintetizzare con una frase: Dio perdona, la società no. Violetta in un momento dell’opera canta: “Dio cancellò il mio passato”. Violetta è pronta a rinascere, a ripartire. Ma Germont, il padre del suo innamorato Alfredo, che la spinge a rinunciare al suo amore, rappresenta la società che dice di no. Stiamo parlando di un’epoca e di una mentalità fortunatamente lontane dal presente, un’opera romantica nella quale è evidente l’impronta maschilista. E in cui famiglia significava soprattutto solidità economica, prestigio sodale, onore».
CHI SAREBBE OGGI LA PROTAGONISTA. «È difficile portare La traviata ai giorni nostri», prosegue Gatti, «perché i soprusi sono altri: oggi dovrebbe avere per protagonista un’emarginata per motivi religiosi, ad esempio. Violetta, quando scopre l’amore per Alfredo, va incontro alla fine della sua vita. Verdi lo indica con una piccola alterazione di una nota nella frase “misterioso amore”: è come una sospensione. Dietro a quel “misterioso” e a quell’alterazione c’è tutto: il grande sentimento, ma anche la morte, la condanna. Violetta, molto cristianamente, si sacrifica per una sconosciuta, la sorella di Alfredo, che verrebbe trascinata nel disonore della famiglia. Verdi, del resto, aveva vissuto sulla sua pelle un dramma simile. Il suo amore per Giuseppina Strepponi fu fortemente contrastato, ma lui lo difese per tutta la vita».
Quindi per lei, maestro Gatti, la grandezza di Verdi è in questa profondità psicologica, non solo nella musica?
«Sì, tutto ciò che c’è di buono e di cattivo nell’animo umano Verdi lo ha trasferito nelle sue opere, cercando sempre di mettere in evidenza il dolore, la solitudine e le cattiverie come componenti dell’essenza dell’umanità. Ha messo in rilievo ad esempio la gelosia dell’uomo, che non è sentimento della coppia e basta, ma anche fra genitori. Ecco perché trovo che, in questo anno verdiano, si sia parlato molto di questo genio, ma un po’ troppo della sua dimensione nazionalpopolare. Si è fatto un po’ troppo supermercato. Il Va’ pensiero è un aspetto di Verdi. La Marcia trionfale dell’Aida va bene. Ma Verdi è il genio dei drammi umani. Di drammi che possiamo trovare nelle nostre famiglie, in noi stessi».
Ma come si spiega la popolarità della Traviata, perfino presso giovani che non l’hanno mai vista?
«Beh, difficile capire. Certo lo stato di grazia del compositore conta molto. Ha inanellato questi tre capolavori della così detta “trilogia popolare” (Trovatore, Rigoletto e La traviata, ndr). Che poi popolare non era, allora, ma geniale e basta. Pensiamo al gobbo deforme che canta pieno di amore e sentimenti in Rigoletto: uno scandalo per l’epoca. Queste tre opere sono perfette. Non c’è una nota o un passaggio musicale che possano essere modificati o spostati. Tutto è legato alla drammaturgia. La traviata, poi, inanella una serie di numeri musicali straordinari. Oltre alla parte di soprano che richiede grande agilità, ma anche grande drammaticità».
E lei con che animo salirà sul podio?
«Per costruire con i protagonisti la nostra interpretazione: sperando che rimanga nella memoria e nel cuore».