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 2013  dicembre 05 Giovedì calendario

COSA CAMBIA CON L’IRAN PIÙ FORTE? TUTTO


L’intesa sul nucleare con l’Iran non è un punto di arrivo ma di partenza. E potrebbe cambiare il Medio Oriente» osserva Riccardo Redaelli, direttore del Centro di ricerca sul sistema sud e Mediterraneo allargato (Crissma) dell’Università Cattolica di Milano.
Se la regione, già scossa dalla primavera araba, cambierà in meglio o in peggio, è da vedersi. Ci vorranno sei mesi per giungere all’accordo finale sul nucleare e per il momento i frutti sono un po’ acerbi. Il vero dato positivo è che iraniani e americani sono tornati a parlarsi attorno a un tavolo dopo oltre trent’anni di minacce, guerre indirette e colpi bassi. A Ginevra gli Stati Uniti hanno sdoganato la Repubblica Islamica, bollata come perno dell’asse del male. Un’apertura di credito alla minoranza sciita del mondo islamico, rappresentata da Teheran, e all’influenza degli ayatollah sulla regione. «Questo non significa che gli americani rinunceranno alla tradizionale alleanza con la maggioranza sunnita, che rappresenta il 90 per cento del mondo musulmano, per instaurarne una con gli sciiti, che sono appena il 10 per cento» commenta Mario Arpino, capo di stato maggiore della Difesa durante la prima guerra del Golfo.
L’Arabia Saudita, storico rivale sunnita dell’Iran, non si fida e giudica raccordo sul nucleare un «tradimento» degli Usa. Sulla stessa lunghezza d’onda Israele, che considera la svolta di Ginevra una specie di patto di Monaco siglato alla vigilia della seconda guerra mondiale che Adolf Hitler scatenò in Europa.
«All’accordo sul nucleare bisogna aggiungere due corollari regionali con i sauditi e gli israeliani, altrimenti non cambierà molto nella crisi del Medio Oriente» sottolinea Redaelli. A breve termine il cambiamento di rotta nei confronti dell’Iran potrebbe avere effetti positivi sulla sanguinosa guerra in Siria. I governativi stanno ribaltando la situazione militare sul terreno grazie all’appoggio dei miliziani di Hezbollah, appoggiati da Teheran. «Se gli iraniani venissero chiamati ai negoziati» conclude Redaelli «potrebbero perfino accettare una successione al presidente Bashar al-Assad».