C. A. , Style Dicembre 2013, 4 dicembre 2013
UBERTO PASOLINI
È nipote di Luchino Visconti e in effetti dice di sentirsi molto italiano. Ma a giudicare dalle scelte, Uberto Pasolini lo è pochissimo. Produttore indipendente (il suo Full Monty, Oscar per la colonna sonora, con circa 186 milioni di euro incassati è stato uno dei film inglesi di maggior successo al botteghino) e regista di qualità, ha lasciato prima l’Italia a 17 anni, poi una promettente carriera in banca a Londra, per darsi al vero amore, il cinema. Suo maestro è stato Roland Joffé, regista di Urla del silenzio e La lettera scarlatta, che lo ha portato con sé a Los Angeles come braccio destro.
Still life che ha ottenuto il Premio Orizzonti per la miglior regia all’ultimo Festival di Venezia (in sala dal 12 dicembre), lo vede per la seconda volta dietro la macchina da presa. Il film è una riflessione sulla mortalità, la solitudine e l’importanza di condividere la propria vita. «Viviamo sempre più soli, con pochi contatti. Ho divorziato, sono in ottimi rapporti con la mia ex moglie, porto a scuola le bambine, ma alla fine della giornata torno in una casa vuota. Se non mi organizzo passo le serate da solo, e anche i weekend. Una situazione che mi ha molto colpito».
«Da ragazzo ero socio della cineteca di Milano, lì ho visto tutti i film russi muti, e quelli tedeschi degli anni Venti. Quando ho deciso di assecondare la mia passione ho trovato un uomo che aveva ambizioni sopra la media, e l’ho seguito in America». La definisce la migliore scelta della sua vita. «Quasi come la decisione di lasciare l’Italia: odiavo la mia professoressa del Parini». Rimpianti? «La vecchia villa sul lago di Como, costruita da mia bisnonna Carla. Un casone di marmo enorme, con quell’orrenda architettura di fine secolo con tutti, quei leoni di marmo... Ma noi bambini ci divertivamo moltissimo».