Pierluigi Battista, Style Dicembre 2013, 4 dicembre 2013
QUEI GENI IN ORFANOTROFIO
Le storie di cui una società dovrebbe andare più fiera sono quelle di chi, con fatica e sacrificio, remando contro il destino ingrato, dandosi da fare con ostinazione e coraggio, riesce a realizzare un sogno di affrancamento soltanto con le proprie forze, sopravanzando i figli di papà cresciuti, come amava dire mio padre, nella bambagia». Perciò è più che opportuno il richiamo di Aldo Cazzullo, in un libro che porta nel titolo un’esortazione a non lanciarsi piegare dalla disperazione, Basta piangere! (Edizioni Mondadori), alle storie di italiani che hanno sudato, studiato, inventato, patito, combattuto contando sul proprio talento e la voglia di fare.
Leonardo Del Vecchio» racconta Cazzullo, è cresciuto in un orfanotrofio»: ciò non gli ha impedito di forgiare uno dei gioielli del l’eccellenza industriale italiana come la Luxottica, E poi: Michele Ferrero è figlio di un pasticciere»: certo, dal padre ha ereditato il gusto del mestiere, la tecnica della pasticceria, ma per fondare l’impero della Nutella Ferrero ha dovuto faticare, trovare una strada impervia, realizzare con le proprie forze un tocco di genio. Del Vecchio e Ferrero, osserva giustamente Cazzullo, «non sono due pirati della finanza e della speculazione, sono industriali che hanno dato lavoro a decine di migliaia di famiglie». Come Nerio Alessandri: «Ha iniziato come perito meccanico, si è inventato un’azienda che esporta in tutto il mondo, la Technogym, e ci ha costruito attorno una città della ricerca e del “wellness”, una parola inventata da lui». E perché non ricordare, fuori dall’ambito industriale, Maria Luisa Spaziani, la grande poetessa, che sfaceva la stenografa», o Fulvio Pierangelini, il migliore dei nostri chef, che ha cominciato come lavapiatti», o Carlo Fruttero, scrittore di gran classe, che è stato cameriere, manovale, operaio, idraulico, imbianchino»?
In Italia, a differenza degli Stati Uniti dove c’è il mito del self-made man che con il suo spirito di intraprendenza e di avventura costruisce con le proprie mani il suo destino e dal niente crea imprese favolose, generalmente queste storie non colpiscono l’immaginazione popolare. Agli italiani piace più il mito del collettivo, dei passi compiuti da una comunità che cresce lentamente anche a costo di livellare le differenze di talento. Non che la crescita delle comunità non conti, beninteso. Ma lo sforzo degli individui singoli viene spesso bollato come deplorevole «individualismo», se non addirittura egoismo e insensibilità sociale. Invece a me non succede così, e forse è per questo che le parole di Cazzullo mi hanno tanto colpito. Per me il miracolo sociale ed economico che ha cambiato in meglio l’Italia ha anche il volto e la parlata di Giovanni Borghi, che dal nulla, con audacia e spirito di iniziativa, ha costruito una fabbrica di elettrodomestici di successo. E, fuori dai confini nazionali, mi è parsa sempre una storia commovente quella di Margaret Thatcher, la figlia del droghiere che ha piegato l’eslablishment altezzoso dell’Inghilteira con una forza indomita di volontà e coraggio. Per uscire dalla voragine in cui ci siamo cacciati, la fine del piagnisteo potrà essere aiutata dagli esempi di chi non si è rassegnato. Basta piangere! Appunto.