Paolo Conti, Style Dicembre 2013, 4 dicembre 2013
LUCREZIA GUIDONE
«Io penso che la crisi vada affrontata e non subita. Bisogna cercare di reagire in modo positivo, accantonare il lamento che ci blocca, ci fa restare fermi. E investire sul proprio futuro. La crisi è anche una scommessa. Siamo chiamati a navigare in mare aperto. E da questo punto di vista è una straordinaria opportunità». La voce di Lucrezia Guidone, attrice di teatro e di cinema, è forte e decisa. La giovane pescarese, 27 anni, è un vero caso nel mondo degli attori italiani. Nel 2012 ha vinto il Premio Ubu (l’equivalente teatrale del David di Donatello) come migliore italiana under 30. Poi ha conquistato il Premio Virginia Reiter, e poche settimane fa ha portato a casa il Premio Eleonora Duse come migliore interprete dell’ultima stagione di prosa. Un riconoscimento «targato» Luca Ronconi, visto che Lucrezia l’ha ricevuto per due pièce teatrali firmate dal grande regista: In cerca d’autore. Studio sui Sei personaggi di Luigi Pirandello e II panico di Rafael Spregelburd. Non basta? Tempo qualche mese esordirà sul grande schermo, protagonista di Noi 4, il nuovo film di Francesco Bruni (il regista dell’apprezzatissimo Scialla!). Ora Lucrezia Guidone è a New York.
Ma come? Dopo tanti premi, perché fuggire oltreoceano? Veramente non è stata una fuga. Anzi. Il momento in Italia non è facile e mi sono chiesta: cosa faccio, aspetto o investo sul mio futuro? Ho scelto la seconda strada. Sono andata a studiare. A migliorare la mia formazione. Ho avuto la possibilità di farlo, per fortuna, perché parlo bene inglese e spagnolo.
Lei si è formata alla gloriosa Accademia nazionale di arte drammatica Silvio d’Amico. Poi ha scelto di continuare la formazione a New York, al Lee Strasberg Theatre and Film Institute. Due metodi molto diversi tra loro. Che influenze ha ricevuto? Quando sono uscita dall’accademia ho capito che dovevo continuare a studiare. Il metodo Strasberg non lo conoscevo, quindi ho deciso di mettermi alla prova. Ciò non significa che io adesso mi senta un’attrice che recita «col metodo Strasberg». Un’interprete deve armarsi di tutti gli strumenti possibili, per poterli utilizzare secondo le necessità del lavoro.
Come si «sopravvive» negli Stati Uniti da italiani? Come fa a non perdere i contatti? La magia di New York permette di ritrovare persone che in Italia non rivedresti mai. Giorni fa ho riabbracciato un amico perso di vista, ci conoscevamo quando avevamo 15 anni. E poi c’è l’eccellente Istituto italiano di cultura che organizza eventi e incontri.
In quanto alla cucina? Mangio italiano! Se mi nutrissi all’americana, tornerei lievitata di dieci chili. Il mio piatto preferito, spaghetti con pomodoro e olio a crudo, va sempre bene.
Per quanto tempo resterà negli States? Finché potrò, e non è detto che non ci torni anche in futuro. Comunque il mio rientro in Italia è vicinissimo. Sono impegnata di nuovo con Luca Ronconi, il mio «maestro di riferimento». Dicembre se ne andrà nelle prove di Celestina di Michel Gameau da Fernando de Rojas, il debutto è previsto al Piccolo Teatro di Milano il 30 gennaio 2014 e rimarremo lì fino al primo marzo. Ho un ruolo bellissimo, quello dell’attrice giovane.
Lei ha questo splendido rapporto con Ronconi. Ma con chi le piacerebbe sperimentarsi, sul palcoscenico, oltre che con lui? Il primo nome che mi viene in mente è quello del grande Nekrosius. È uno straordinario uomo di teatro dotato di un immaginario pazzesco. Poi penso a Peter Stein, vero ponte tra la grande tradizione tedesca e l’Italia. E ad Antonio Latella, che propone sempre allestimenti che stupiscono per la sua capacità registica di esplorare il testo.
In quanto al cinema? Inevitabile partire da Paolo Sorrentino. È davvero il migliore in Italia, in questo momento. Amo molto anche Matteo Garrone. E mi ha colpito profondamente la maturità di Davide Manuli che traspare nel bellissimo La leggenda di Kaspar Hauser. Ha dimostrato di possedere un proprio originale codice, uno stile ben definito.
Però ora esordirà anche lei sul grande schermo. È ancora in lavorazione il film Noi 4, di Francesco Bruni (uscita prevista a marzo 2014). Che esperienza è stata? Bellissima, una storia in cui è facile immedesimarsi: la giornata-tipo di una famiglia con genitori separati che si ritrova e vive momenti importanti. Ho finalmente lasciato il ruolo di figlia per proporre una giovane adulta. Interpreto un’attrice giovane che occupa il Teatro Valle... Il teatro c’è sempre!
Lei, così ha detto, è stata fortunata. Cioè ha avuto la possibilità di studiare per diventare attrice e di continuare la formazione a New York. Ciò significa che ha avuto una famiglia pronta a sostenerla. Sì, la mia famiglia ha «dovuto» accettare la mia scelta, nel senso che ho deciso che sarei diventata un’attrice molto presto, direi da bambina. E sono cresciuta così. Nessuno, al momento della scelta, ha pensato di muovere obiezioni (ride, nda). Probabilmente mi ha aiutato il fatto di essere figlia di una pianista. L’arte circola in casa e quindi non è stata, la mia, una decisione così eccentrica. Anche papà mi ha spalleggiato. E mi hanno sostenuto con affetto, credendo in me: sono grata ai miei genitori per questo.
Rimane un po’ di spazio per la sua vita privata? È molto importante amare, essere amati, aprirsi ai sentimenti, e questo vale anche per le amicizie. Le emozioni sono un ottimo carburante per la vita. Altrimenti, cosa racconto in scena?
Sì, ma: è innamorata? Fidanzata? Una volta tanto gioco alla diva americana: no comment...