Fabrizio Roncone, Style Dicembre 2013, 4 dicembre 2013
«NUOVE REGOLE PER LA GIUSTIZIA MALATA. E PERCHE’ I GIUDICI SIANO POLITICAMENTE IMPARZIALI»
Rodolfo Sabelli, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ha 50 anni e tiene, con grande rigore, alla sua vita privata. Al termine di quest’intervista, dopo non poche insistenze, vengono catturate solo poche informazioni: è sposato, ha due figli e una passione per le lingue antiche. Appena può, parte: ultimo viaggio, negli Stati Uniti, in Texas. Quanto alla carriera: sue le inchieste sulla cosiddetta P3 e sul crack finanziario della Cirio.
Presidente, è opinione diffusa che la giustizia italiana sia gravemente malata. Lei cosa ne pensa?
Penso che lo stato di salute della giustizia sia poco adeguato per un Paese com’è l’Italia: abbiamo molti problemi sia per quanto riguarda il processo civile, sia per quello penale.
Procediamo con ordine, partiamo dal processo civile.
Beh, intanto abbiamo il problema delle vecchie cause che giacciono accatastate negli uffici e ne ostacolano il buon funzionamento. E poi c’è la valanga dei nuovi contenziosi. Che sono tanti, e che si moltiplicano ogni giorno, ogni ora. Ecco, per questo tipo di problema il Decreto del Fare prevede il ricorso a forme di «mediazione» obbligatoria tra le parti: è auspicabile che tale strumento, anziché adempimento formale, generi una vera e propria cultura della mediazione, che consenta di arrivare, quando è possibile, a soluzioni rapide. Parlo di rapidità non casualmente: perché vede, in un sistema giudiziario malato, il processo civile rischia anche di prestarsi a un uso improprio con cui l’una o l’altra parte della causa può rallentare l’adempimento dei propri doveri. In questo senso, un ricorso più frequente alla «condanna alle spese» processuali potrebbe divenire un buon deterrente per chi volesse fare il furbacchione.
Processo penale.
Nel penale abbiamo problemi di altra natura. Anzitutto, il processo stesso. Occorre riuscire a semplificare alcune regole, introducendo o estendendo istituti che in parte già esistono nel nostro ordinamento...
Può farci qualche esempio concreto?
Certo. Un esempio concreto è la cosiddetta «messa alla prova». Una persona imputata di un reato non grave accetta di svolgere, prima della sentenza, attività di utilità sociale, venendo così messa alla prova per un certo periodo di tempo. In tale periodo, la persona viene seguita dai servizi sociali e il processo viene «sospeso». Se là prova da esito positivo, il reato si estingue...
Quindi ci sarebbe anche...
Aspetti, posso farle un altro esempio: i nostri tribunali sono pieni di processi a quelli che noi chiamiamo «fantasmi»... ovvero imputati contumaci, mai presenti in aula, spesso stranieri irreperibili... Ebbene: è inutile celebrare processi inutili, no? Meglio sospenderli. Aggiungo che sia la «sospensione del processo contumaciale», sia la «messa alla prova», sono entrambe oggetto di un disegno di legge all’esame del Parlamento.
Poi è forse ormai necessario semplificare il sistema delle notifiche degli atti, ancora ottocentesco.
Riuscire a informatizzare la notifica degli atti è una rivoluzione necessaria e inevitabile: nel civile, a partire dal prossimo anno, siamo quasi pronti, mentre nel penale siamo, purtroppo, ancora molto indietro. Tuttavia, informatizzare non basta: io credo sia necessario mettere mano anche al codice penale. Come? Intanto, rivedendo integralmente il sistema delle sanzioni, depenalizzando tutti i reati che una sanzione non la meritano. Quindi bisogna intervenire sugli strumenti di giustizia «riparativa». Un esempio? Per taluni reati, non gravi, contro il patrimonio, il risarcimento e la riparazione del danno potrebbero portare all’estinzione del reato. E poi è necessario intervenire sul sistema della prescrizione trascorso un certo tempo, il reato si estingue modificando e adeguando tempi e termini. Chiudo dicendo che è urgente rafforzare le leggi in materia di criminalità organizzata, criminalità finanziaria e criminalità nella pubblica amministrazione.
Lei, sia pure sommariamente, ha indicato alcune linee guida di una riforma della giustizia. Che però, finché c’è Silvio Berlusconi sulla scena, sembra difficile da realizzare. O no?
Guardi, io penso che noi tutti dobbiamo metterci alle spalle le polemiche e le tensioni che ci sono state in questi anni... Davvero, mi sembra giunto il momento di voltare pagina.
Negli ultimi 30 anni si è avuta spesso la sensazione che all’indebolimento della politica corrispondesse un rafforzamento della magistratura. Come se quest’ultima avesse occupato spazi non suoi. Esiste, è esistito, un uso politico della magistratura?
Su alcuni temi, come la bioetica, il fine vita, ma anche su argomenti come la sicurezza sui posti di lavoro, si è frequentemente parlato di «supplenza» della magistratura. Ma la magistratura non supplisce: casomai, nell’esercizio delle proprie funzioni, può capitare che sia stata costretta a intervenire lì dove la pubblica amministrazione non aveva vigilato adeguatamente. In questi casi, però, la magistratura è intervenuta come ultimo presidio di legalità.
Quanto, secondo lei, la magistratura ha condizionato, se non addirittura cambiato, la storia di questo Paese? Penso a Mani Pulite, al caso Lonardo-Mastella, ovviamente a Silvio Berlusconi...
La magistratura è una delle istituzioni dello Stato... e la storia di un Paese è fatta dall’azione di tutte le istituzioni: quindi, sì, certo, anche dall’azione della magistratura, ma non perché questa persegua obiettivi politici.
Molti magistrati, magari dopo aver condotto clamorose inchieste, decidono di mettersi a fare politica. Gli esempi più clamorosi sono Antonio Di Pietro e Antonio Ingroia. Le sembra una prassi normale?
Non si può impedire ai magistrati di entrare in politica: sono cittadini anche loro, e devono poter godere di questo diritto. Detto ciò, è chiaro che occorre introdurre regole che salvaguardino l’immagine di imparzialità della magistratura.
Amnistia e indulto.
Si tratta di soluzioni provvisorie. Se si vuole risolvere stabilmente il dramma del sovraffollamento delle carceri, andrebbero comunque unite a provvedimenti strutturali... Primo: intervenire sulla natura delle sanzioni, cercando di limitare quelle detentive e sviluppando quelle patrimoniali e interdittive. Secondo: depenalizzare alcuni reati. Terzo: sviluppare misure alternative alla detenzione per le pene brevi o per i residui di pena. Quarto: ridurre le pene per i reati di piccolo spaccio. Quinto: realizzare nuove strutture carcerarie e migliorare la vivibilità di quelle esistenti.
L’ultima domanda è sul caso Annamaria Cancellieri. Cosa pensa, presidente, del colloquio intercettato con Gabriella Fragni, moglie di Salvatore Ligresti, e dell’ultima frase della Cancellieri, il cui senso era: «Sempre a disposizione»?
Si è trattato di una conversazione privata, che si è prestata a diverse valutazioni politiche.