Raffaele Nespoli, l’Unità 4/12/2013, 4 dicembre 2013
IN VIA PABLO PICASSO, DOVE SONO MALATE 6 FAMIGLIE SU 15
L’unica indicazione che si riesce a trovare è una targa in marmo dove ormai si legge a stento «via Pablo Picasso», una strada come tante nell’anonima provincia di Napoli. Pianura del resto è tutta così: una sequenza infinita di palazzi e di case, strade su strade che si susseguono senza soluzione di continuità. Più di 58mila anime costrette a vivere a ridosso di una discarica, l’ex Difrabi, ecomostro che negli anni ha ingoiato migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti. Via Pablo Picasso non è molto distante, e agli occhi di chi ci vive, quella targa in marmo è diventata ormai una lapide, perché negli anni questa viuzza si è guadagnata il triste nome di «strada della morte».
Certo, qui non ci sono roghi tossici e neanche cumuli di rifiuti e di amianto ammassati sui marciapiede. Tutto sembra normale, almeno sino a quando non si parla con qualcuno. Da queste parti, quasi tutti hanno sepolto un padre e un fratello, oppure un figlio, un nipote.
I residenti parlano addirittura di sei o sette casi di cancro ogni quindici abitanti. E anche se oggi le battaglie per il diritto alla vita si fanno altrove, anche se come è ovvio sotto la lente, ora, c’è finita la Terra dei Roghi, non si può dimenticare che tutto è cominciato qui. Nel 2010, a denunciare la situazione fu una onlus: la «Oceanus». Il legale rappresentante, anche se consapevole che fosse praticamente impossibile dimostrare un legame con la discarica, già allora parlò di «un numero tale di casi di tumore da rappresentare qualcosa in più di una coincidenza».
Nel tempo, però, le proteste e le denunce si sono spente contro un muro di gomma. Negli anni è rimasta solo la paura, diventata lentamente rassegnazione. Chi prima scendeva in piazza ora non ne ha più la forza. Già, in via Pablo Picasso le grida di un tempo si sono trasformate in un macabro silenzio.
Nel 2010 c’era chi raccontava di aver «perso un genero di 45 anni, la moglie di 44 anni, un figlio di 51 anni e il cognato 74 anni». Non in sei anni, ma in soli sei mesi. Ieri, così come oggi, si parlava della mancanza di un registro dei tumori e quindi dell’impossibilità di trovare un nesso di causa ed effetto.
Per chiarirsi un po’ le idee, basta riprendere gli atti giudiziari dell’inchiesta sulla discarica. Nella perizia dell’ingegnere Ennio Italico Armando Noviello (primo ricercatore dell’Istituto di metodologie chimiche del Cnr), si legge che «in alcune zone di Pianura non si può respirare, a causa della grande quantità di idrocarburi dispersi e della cattiva qualità dell’ossigeno».
Tesi che fu anche accolta dal gip Alessandro Buccino Grimaldi, che decise di respingere l’istanza di archiviazione per il filone di indagini relative al reato di disastro colposo, proprio nella discarica di Contrada Pisani.
Ma nella sua perizia il ricercatore del Cnr dice di più, parla addirittura di «parametri fino a mille volte superiori ai valori limite consentiti». Emissioni nocive talmente alte da mettere a rischio la salute degli stessi tecnici intervenuti per fare i rilevamenti. «In alcuni punti – sempre secondo quanto rivelato da Noviello – la qualità dell’ossigeno e degli idrocarburi è risultata non compatibile con la vita umana». Tanto da costringere il ricercatore a precisare che per questi motivi «non è stato possibile prolungare la durata di ciascun rilievo per i termini previsti dalle norme (...)». Ma quali sono i veleni che si insinuano sotto le terre della discarica? A quanto pare c’è di tutto, diossina compresa.
In un documento datato 14 maggio 2008, prodotto dalla direzione «tutela del suolo, bonifica siti e gestione tecnica rifiuti» della Provincia di Napoli, viene ripresa una lista di inquinanti che comprende 113mila chili di polveri di amianto bricchettate, più di 48mila tonnellate di rifiuti speciali industriali e più di 380mila tonnellate di rifiuti speciali. Moltissimi, anche in questo caso, in arrivo dal Nord. Precisamente: polveri di amianto e rifiuti speciali industriali (da Torino); terre di bonifica inquinate da gasolio, fanghi di verniciatura, fanghi dell’impianto di depurazione e scorie e ceneri di alluminio (dalla provincia di Bergamo); mentre dalla provincia di Varese, cosmetici scaduti, morchie di vernici e così via.
Una bomba ecologica che resta sepolta nel cuore di Napoli, lontana dalla Terra dei Roghi, ma non per questo meno grave. Ora che, il muro di gomma contro il quale negli anni si sono infrante le proteste della gente ha iniziato a sgretolarsi, anche gli abitanti di Pianura vorrebbero veder riaccendersi una piccola luce. La speranza è che presto non esista più una via «Pablo Picasso», che non si debba più parlare di discarica e morte.
Quel giorno, però, sembra ancora troppo lontano.