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 2013  dicembre 04 Mercoledì calendario

LA FINTA FUGA DEI LAVORATORI IN NERO PER EVITARE I CONTROLLI DELLA POLIZIA


Siamo a poche centinaia di metri dal rogo in cui sono morte sette persone, alle spalle del Macrolotto, quartiere San Giorgio. Il commissario Flora Leoni della polizia municipale bussa insieme alla sua squadra. Quando la porta si apre ecco le macchine da cucire, il materasso per dormire accanto al posto di lavoro, bombole del gas e un soppalco di cartongesso che lascia intuire cosa contiene. Una scena che si ripete, sempre uguale. «Potremmo entrare in una qualsiasi di queste porte», mi dice il vigile indicando altri capannoni «e la scena sarebbe identica». Il proprietario dell’azienda e la moglie si sono appena svegliati, prendono tempo, ma l’interprete fa capire loro che non possono resistere. Gli altri sono scappati. Stanotte i controlli hanno verificato che le macchine da cucire lavoravano senza sosta e i cumuli di maglie rigorosamente «made in Italy» buttate a terra lo dimostrano, ma adesso sembra non esserci nessuno. «Questi giorni dopo la tragedia stanno più attenti, sanno che i controlli sono stati intensificati e quando possono vanno a dormire in posti sicuri», spiega un vigile.
I cinesi lavorano di notte quando i controlli sono più difficili. Dietro il primo muro di cartongesso ecco la cucina da cui si accede a un bagno. I fili elettrici sono scoperti, nessuna norma di sicurezza e igienica, cibo marcio, scarpe sparse, carne di maiale appesa alle finestre, la fossa biologica che emana fetore. Scatta il sequestro preventivo. «Questi locali sono sede di impresa e quindi non è regolare abitarci». Sulla scala ripida e malferma ci sono gomitoli di polvere e sporcizia sedimentata ovunque. In cima un lungo corridoio ai cui lati si aprono stanze-loculo. In quella dei due cinesi titolari dell’azienda ci sono anche segni della presenza di bambini. Sul permesso di soggiorno Zhou ha segnato due figlie: Cristina e Luna. «Sono in Cina», dice. Ma i poliziotti sanno che probabilmente non è così. Hanno portato un interprete che conosce anche il dialetto della provincia orientale da cui vengono questi cinesi. E capisce che qui vi era altra gente perché moglie e marito dicono tra loro di portare via «anche la roba degli altri». Quando chiedi loro perché vivono non solo nell’illegalità ma anche in una situazione di degrado assoluto rispondono quasi stupiti: «Lavoriamo tutto il giorno non abbiamo tempo di pulire».
Non hanno il contratto di affitto e si cerca di corsa il proprietario. È italiano, abita poco distante da qui. A.P. arriva di corsa, con la tuta da lavoro, fa l’elettricista, la faccia tesa. «Lei era a conoscenza che qui dentro è stata costruita una struttura abusiva, un soppalco di legno con mura di laminato truciolare?». «No, cioè...». L’uomo è combattuto, vede guai vicini ma non ce la fa a dire una bugia intera: «Me ne sono accorto quando sono venuto a riscuotere l’affitto l’ultima volta e ieri, dopo l’ incendio al lotto 82 ho chiesto loro di eliminare il dormitorio, ma non mi hanno ascoltato». Il vigile verbalizza senza infierire E senza stupirsi visto che la stessa scena si ripete ogni volta. Arriva anche la moglie che chiede «perché non siete andati da quell’altro capannone dove c’è un gran via vai di cinesi?». Il commissario Flora smette di scrivere il sequestro preventivo e con grande calma le spiega che i controlli li fanno continuamente e che forse sarebbe bene che i cittadini di Prato li aiutassero. «Voglio dire cara signora che se i proprietari facessero attenzione verificando che l’utilizzo dei loro immobili da parte dei locatori sia corretto invece che chiudere gli occhi le cose sarebbero più facili». La donna se ne va ringraziando e con un «certo, certo» che mescola dispiacere, senso di colpa e preoccupazione. Stessi sentimenti che appaiono sul volto del marito. «Sì, sono consapevole che se non smettiamo di affittare a cinesi che non rispettano le regole Prato non potrà vincere la sua battaglia». Ma lo dice con il tono di chi già è stato vinto, di chi affitta ai cinesi per sbarcare il lunario, perché tanto tutti fanno così, perché questo è il sistema e non è certo chiudendo il suo capannone che si potrà risolvere il problema. «Poi questi due sono bravi ragazzi, mai un problema», dice A.P. cercando una giustificazione. «Lavorano sempre e non mi hanno dato mai un problema». Il contratto di affitto riporta una cifra modesta: poco più di 300 euro al mese. Possibile? Alla vigilessa «pare molto strano», ma qui l’evasione fiscale sembra il minore dei problemi. Ci sono due bombole del gas stivate sotto una macchina da cucire, gli estintori non sono in regola, nessuna uscita di sicurezza, impianti elettrici fai da te senza salva vita. Qui una tragedia sarebbe potuta succedere in ogni momento. «Ma non è successa perché adesso dovremmo preoccuparci?», chiede Zhou che aiuta la moglie e gli altri cinesi a fare i pacchi. Tutto buttato in sacchi della spazzatura. Stasera questo capannone avrà i sigilli e loro dovranno dormire da un’altra parte. Per ricominciare a lavorare con lo stesso sistema il giorno dopo da un’altra parte complice qualche proprietario italiano che non vede l’ora di affittargli una rimessa, un garage, un locale. «Pagano in contanti e puntuali», spiega un vigile che ogni giorno, da anni, vede la stessa realtà senza che cambi mai nulla.