Nino Sunseri, Libero 4/12/2013, 4 dicembre 2013
IL BUCO DEL SUPER INPS È CERTIFICATO
Dopo l’allarme del presidente Antonio Mastrapasqua arriva la scomunica della Corte dei Conti: nei conti dell’Inps c’è un buco patrimoniale e finanziario. Significa, in poche parole che la spesa per le pensioni supera il valore dei contributi incassati annualmente. In prospettiva la situazione è destinata a peggiorare. Il Pil che cala e la disoccupazione crescente fra i giovani (ormai al 40%) appassisce il flusso di nuovi accantonamenti. Viceversa aumentano le esigenze assistenziali: dalle pensioni di invalidità (sulle quali la Corte dei Conti chiede un faro forte di moralizzazione) alle erogazioni per cassa integrazione e altri ammortizzatori sociali che l’avanzare della recessione rende sempre più costosi. Tanto più che il governo, non sapendo a quale santo rivolgersi, affida all’istituto, nuovi compiti e, soprattutto nuove spese. Perché, come certificano i giudici contabili dopo aver aver esaminato il bilancio del 2012 chiuso con un disavanzo di nove miliardi, il cancro che ha colpito l’Inps si chiama Inpadp. La fusione con l’ente che pagava le pensioni agli statali ha avvelenato i bilanci dell’istituto che, per statuto doveva occuparsi solo dei lavoratori privati.
L’operazione, dal governo Monti, era stata presentata come un esempio virtuoso di intervento sulla spesa pubblica. Scompariva l’Inpadp e quindi niente più consiglio d’amministrazione, niente più direzione generale, niente più consulenze più o meno trasparenti. Insomma un esempio di austerità con il loden. In realtà era stato il gioco delle tre carte. Una maniera per trasferire sulla gestione dei privati le inefficienze e le furbizie del Tesoro. Lo Stato, infatti, non ha mai fatto accantonamenti nell’Inpadp. L’ente era solo un recipiente che annualmente il Tesoro riempiva in funzione delle pensioni che doveva erogare. Negli ultimi anni il rifornimento era sempre più faticoso tanto da costringere gli amministratori dell’Inpadp a qualche acrobazia contabile per far quadrare in qualche modo i conti. Da ultimo, con Monti, la genialata: passiamo la patata bollente all’Inps. Adesso l’ente guidato da Antonio Mastrapasqua ha l’obbligo di pagare le pensioni a tutti i lavoratori: sia pubblici che privati. Solo che le imprese hanno versato le quote obbligatorie. Lo Stato non lo ha fatto. Risultato: un bel buco nel bilancio. Certo fra una trentina d’anni la situazione dovrebbe migliorare: i ricchi assegni del retributivo vanno scomparendo con la loro dote ancorata all’ultimo stipendio. A sostituirli i magri trattamenti del contributivo che paga in funzione degli accantonamenti realmente effettuati. Con un problema in più, spiega la Corte dei Conti: considerando l’esiguità dei contributi derivanti da situazione lavorative molto fragili quale assegno riceveranno i semi-disoccupati di oggi? Bella domanda che andrebbe rivolta alla signora Fornero e al preside Monti. In attesa della vecchiaia di povertà delle nuove generazioni c’è da affrontare il problema del disavanzo corrente dell’Inps. Che fare? Bella domanda. Con una premessa comunque: le pensioni non sono in discussione. A meno che lo Stato non fallisca è certo che ogni fine mese l’assegno verrà regolarmente liquidato. Il problema, casomai riguarda la gestione del “buco”. In altre parole: che cosa farà il Tesoro per ripianare il disavanzo? Le strade sono semplicemente due: o mettere la spesa a carico della fiscalità generale oppure accrescere i contributi. Qualunque sia la strada il punto d’arrivo non cambierà. A pagare saranno sempre i cittadini e i lavoratori. Sotto forma di tasse aggiuntive oppure di contributi più alti. Non è da escludere un mix fra queste due possibilità. D’altronde già adesso è stato annunciato che gli accantonamenti a carico di professionisti saliranno dal 27 al 33%. Una possibilità contro cui si sta scatenando la rivolta delle partite Iva. È appena il caso di notare che la gestione separata dell’Inps è una delle poche contribuzioni attivo.
Così come sono in attivo le casse dove affluiscono gli accantonamenti dei precari. Insomma sono i lavoratori meno garantiti che assicurano gli assegni ai contratti a tempo indeterminato e soprattutto agli statali il cui posto di lavoro, per legge, è intoccabile. Considerando l’esiguità delle prestazioni che riceveranno a fine carriera non c’è che dire: il sistema pensionistico italiano toglie ai poveri (di oggi e soprattutto di domani) per dare ai ricchi.