Ivo Romano, Avvenire 4/12/2013, 4 dicembre 2013
I FAVOLOSI ALL BLACKS
La stagione perfetta. Solo vittorie, come nei sogni: 14 successi di fila, un intero anno solare senza sconfitte. L’inverno dell’emisfero australe, l’autunno di quello boreale. Le potenze ovali del sud del mondo, poi quelle del nord del pianeta. Percorso netto, al cospetto di rivali di rango. Australia, Sudafrica e Argentina. E poi, Francia, Inghilterra e Irlanda. L’onda lunga di una generazione (o più) di talenti (gli emblemi Dan Carter, Richie McCaw, e Kieran Read appena eletto miglior rugbysta del 2013). E la potenza di menti sgombre. Un tabù caduto, a scacciare cattivi pensieri e innescare certezze perdute.
Sembrava una maledizione, per la Nuova Zelanda. A ogni Coppa del Mondo, i favori del pronostico. Alla prova del campo, un fallimento dietro l’altro. Poi, l’obiettivo raggiunto: nel 2011, in casa. Da allora, briglie sciolte, potenza raddoppiata, fantasia liberata. E successi, uno in fila all’altro. Fino alla stagione perfetta, quella senza l’ombra di una sconfitta.
Solo vittorie, in un’intera annata, come mai prima d’ora nell’era del rugby professionistico. E dibattito aperto, un attimo dopo la fine. Domanda d’obbligo, o quasi: All Blacks migliore nazionale al mondo, da qualche decennio a questa parte, senza distinzione di sport?
Un interrogativo, zero risposte. Ogni paragone, un azzardo. Discipline differenti, come pure la struttura delle competizioni. Solo un giochino, nient’altro. Che, al netto di domande senza risposta, restituisce nazionali che hanno addizionato pagine di gloria al libro della storia dello sport. Il calcio, la nostra disciplina nazionale. Vincere sempre, impresa improba. C’è chi lo ha fatto, in un più breve arco temporale. E chi in un’intera competizione, lasciando per strada qualcosa al di fuori di essa. Il Brasile del 1970, giustiziere dell’Italia della staffetta. Quello della Perla Nera, in arte Pelè. Dominò quel Mondiale: tra qualificazioni e fase finale, solo vittorie. Poi, c’è chi perde qualche battaglia, ma finisce sempre per vincere la guerra. La Spagna dei fenomeni, pesca il meglio del meglio (del campionato) e lo traduce in allori. Una nazionale, a immagine e somiglianza di un club: il Barcellona. Una robusta iniezione di “blaugrana” (da Iniesta in giù, tra fuoriclasse e campioni), in uomini e tattica.
Una spruzzata di talento non di marca catalana, prendendo soprattutto dal Real Madrid. Cambia il ct, non i risultati. Prima Aragones, poi Del Bosque. Un Europeo, un Mondiale, un altro Europeo: la catena della gloria. Del resto, il segreto è quello: un movimento che sforna talenti produce nazionali vincenti, fino a entrare nella storia. Magari calcando la scena di rado, quando l’occasione lo richiede.
Storia di un paio di decenni fa, quella del Dream Team, definito anche «la più grande collezione di talenti del basket del pianeta» (copyright della Naismith Memorial Basketball Hall of Fame), la prima nazionale Usa di basket composta da giocatori del campionato Nba. Tra gli altri, Michael Jordan, Magic Johnson, Larry Bird, Scottie Pippen e Pat Ewing, un mosaico di fenomeni. Olimpiadi del ’92 (a Barcellona), una passeggiata verso l’oro: tutti successi, con uno scarto medio di 44 punti. Due decenni dopo, a Londra, altro percorso netto: LeBron James, Kobe Bryant e compagni, non all’altezza dei predecessori, ma quanto basta per vincere sempre.
Le donne del basket a stelle e strisce, peraltro, fanno di meglio. A Londra, il loro quinto oro olimpico consecutivo. Dal 1994 in poi, tra Olimpiadi e Mondiali, una sola sconfitta. Nel decennio precedente, appena 2 partite perse.
Poi, il resto, sempre all’insegna dell’immortalità sportiva. Il Sudafrica del cricket che prova a ripercorrere la scia delle più grandi nazionali di sempre di quello sport: Australia e West Indies. L’Australia del rugby a 13, reduce dal trionfo in Coppa del Mondo (vincendo tutte le partite), la decima su 14 partecipazioni. La nazionale (olimpica) britannica di ciclismo dei record: 8 ori, come mai nessuno prima, a Londra. Quella russa di nuoto sincronizzato: dal 2000 in poi, 22 medaglie d’oro su 22, tra Olimpiadi e Mondiali. Quella cinese di tennis tavolo: 24 ori su 28 alle Olimpiadi, dal 1988 al 2012. Perché ogni sport ha i suoi fenomeni. Gli All Blacks, dunque, sono nella leggenda, ma in buona compagnia.