Roberto Morini, Il Fatto Quotidiano 4/12/2013, 4 dicembre 2013
E.ON , ADDIO ALL’ITALIA L’ENERGIA TEDESCA NON SI FIDA DI LETTA
I tedeschi fuggono dall’Italia. E.On, la multinazionale del-l’energia presente in 30 Paesi di tre continenti, a marzo aveva annunciato l’intenzione di vendere asset per 2 miliardi di dollari per abbattere il debito provocato dai ripensamenti tedeschi sul nucleare dopo Fukushima. Ora c’è un dossier datato ottobre 2013, “E.On Project Chicago”: in vendita tutti gli asset italiani per ricavarne da due a 3 miliardi di euro. Dei 21 impianti il più appetibile è la centrale idroelettrica di Terni, un terzo dell’intero valore. Probabili compratori: Edison, Enel Green Power, Malacalza. Gli altri prezzi: 2-300 milioni la centrale a carbone di Fiume Santo, da 300 a 450 quelle a gas (fra i candidati Gazprom), da 400 a 600 le eoliche e tra 100 e 150 le solari. Il rimanente 15 per cento dalla rete di vendita (860mila clienti) e dalle partecipazioni in Olt, rigassificatore di Livorno, e Tap, gasdotto che sbarcherà in Puglia. Advisor: Goldman Sachs. Tempi: offerte da gennaio, cessioni entro l’estate. Miguel Antonanzas, ad di E.On Italia, in commissione Industria del Senato ha parlato di “normali continue asset review”. Ma il dossier parla chiaro.
Il vertice
a Palazzo Chigi
Chissà se il 30 ottobre scorso, quando la fuga era già decisa, Johannes Teyssen, numero uno di E.On, ne ha parlato con il presidente del Consiglio Enrico Letta. Il governo ha negato il faccia a faccia. Ma qualcuno è certo che sia avvenuto prima dell’incontro dello stesso Letta con i dieci maggiori gruppi europei dell’energia.
A parte il Progetto Chicago, allora segreto, sono almeno tre i contenziosi di cui avrebbero potuto parlare e che non sarebbero estranei alla decisione di mollare tutto: Fiume Santo, Nord Sardegna, dove i due vecchi gruppi a olio combustibile sono una bomba ecologica secondo i carabinieri del Noe e i tecnici dell’Ispra; Livorno, dove la nave rigassificatrice di Olt tarda a decollare con liti tra soci; Brindisi, dove il futuro sbarco in Puglia del Tap, Trans Adriatic Pipeline, ultimo tratto dall’Albania del gasdotto dall’Azerbaijan, è contestato da Comuni, Regione e ambientalisti.
La centrale sotto
accusa in Sardegna
Dal 1998, anno dello sbarco in Italia, nessun ministro del governo italiano si è mai schierato contro E.On. Lo chiamano “effetto Merkel”. Nei giorni scorsi la prima incrinatura. Il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, su Fiume Santo ha autorizzato due parlamentari sardi del Pd, Silvio Lai e Giovanna Sanna, a parlare a suo nome: nessun rinnovo della deroga per gli impianti inquinanti, ha mandato a dire.
In base al rapporto del Noe la Procura di Sassari ha iscritto nel registro degli indagati Marco Berto-lino, direttore della centrale, già sotto processo per lo sversamento di 48 tonnellate di olio combustibile nel gennaio 2011. La chiazza nera invase il golfo dell’Asinara e arrivò fino agli scogli della Gallura, della Maddalena e di Caprera. Il ministero dell’Ambiente non è parte civile. Nemmeno la Regione. Alessandra Giudici, presidente della Provincia di Sassari, ha parlato di “connivenza politica”. Ora Orlando accusa l’Avvocatura dello Stato di non aver eseguito le due indicazioni. Ma, fa dire, chiederà i danni. I sindacati, i Comuni di Sassari e Porto Torres, la Provincia di Sassari (tutti parti civili), hanno posto a E.On un aut-aut: o fanno gli investimenti per la sicurezza e il rilancio della produzione di energia pulita oppure vendano. Ora è chiaro cosa faranno.
Tutti, a partire dai lavoratori, accusano E.On di tagliare sulle manutenzioni aumentando la probabilità di nuovi incidenti. I due gruppi più vecchi, a olio combustibile, hanno trent’anni e marciano a deroghe con il ricatto del blackout nell’isola. E.On si era impegnata a sostituirli con due nuovi gruppi a carbone a basso impatto. Ma l’investimento è scomparso. Si è parlato di trattative con Autorità dell’energia e Terna per far dichiarare strategici questi impianti a olio: resterebbero aperti a carico del sistema pubblico. Del resto i vecchi turbogas di E.On a Trapani, con lo stesso meccanismo, sono stati rifatti con 60 milioni di denaro pubblico. Ora lo stop alle proroghe da parte di Orlando: dal 31 dicembre i gruppi inquinanti devono chiudere. Lo riconosce la stessa E.On: “Confermiamo che sulla base delle prescrizioni contenute nel vigente decreto Aia relativo alla centrale termoelettrica di Fiume Santo – afferma l’azienda – l’attuale gestione delle unità 1 e 2 non potrà protrarsi oltre il 31.12.2013. È nostra intenzione rispettare la normativa vigente per la chiusura impianti e portare avanti il piano di demolizione e di bonifica relativo”. Ma intanto prepara la richiesta di deroga per non chiudere i gruppi a olio. E per rinviare gli investimenti sui filtri anti-zolfo per i gruppi a carbone più recenti (1992-93). Risparmio: 8 milioni. Utile della centrale di Fiume Santo nel 2012: 78 milioni. Poi dicono che la domanda è crollata. E allora: cento licenziamenti per adeguare la produttività a quella tedesca. Nel dossier c’è scritto: progetto di nuova costruzione on-hold, in attesa. Vendere Fiume Santo sarà difficile.
Liti tra soci
a Livorno
La nave-rigassificatrice Fsru Toscana ha terminato i preliminari: ancorata a 22 chilometri al largo di Livorno ha ricevuto il primo rifornimento e immesso gas nella rete Snam. A dicembre dovrebbe andare a regime con 3,75 miliardi di metri cubi di metano all’anno, il 4 per cento dei consumi nazionali. Ma ci sono problemi tra i soci. Accanto alla joint venture tra E.On, capofila, e la multiutility emiliana Iren, ci sono Olt Energy Toscana della famiglia Belleli (scesa al 3,73% dopo l’aumento di capitale non sottoscritto), e un 2,69% del trasportatore Golar Offshore. Olt, Offshore Lng Toscana, doveva partire quattro anni fa. Nel frattempo i costi sono lievitati da 430 a 850 milioni - aumento al vaglio dell’Autorità per l’energia - e il mercato, con un calo del 10 per cento dei consumi italiani, è cambiato. E.On, inizialmente attratta dai superprofitti garantiti dal mercato libero, aveva rinunciato ai rimborsi pubblici assicurati dall’Authority con una addizionale sulle bollette – il “fattore di garanzia” – in caso di mancato utilizzo dell’impianto. Oggi vuole quelle garanzie. Solito slalom tra Tar e consiglio di Stato con richiesta finale al ministero dello Sviluppo perché Olt sia riconosciuta “di interesse strategico nazionale”.
Il decreto ministeriale sarebbe pronto. Ma Aldo Belleli (vecchia conoscenza del pool Mani Pulite, poi protagonista di un crac da un miliardo e mezzo di lire nel 1998 a Taranto) si oppone: ai soci chiede la rivalorizzazione della sua quota, in azioni o denaro, ritenendosi danneggiato dalla gestione E.On e all’Authority chiede di dire no al sistema di garanzie voluto da E.On perché “coprirebbe mancanze gestionali addossandone l’onere ai consumatori”. Iren tace e tenta di evitare la deflagrazione. Il governo prende tempo. La protesta no-gassificatore cresce, sostenuto dal Movimento 5 Stelle che presenta un’interrogazione sulla sicurezza: la nave-degassificatrice è unica al mondo e i rischi di incidente con possibili conseguenze su persone e ambiente non sarebbero sufficientemente valutati.
Il Tap e le telefonate
a Tarantini
Il progetto Tap sceglie di far spiaggiare il tubo proveniente dall’Albania, con stazione di pompaggio annessa, sulla costa di San Foca, nel comune di Melendugno. Perché nell’area turistica leccese e non nel-l’area industriale di Brindisi, si chiedono in molti? Letta va a Baku all’inizio di novembre a sancire l’accordo che prevede la vittoria della variante sud, quella che attraversa Turchia e Grecia, rispetto a quella che avrebbe portato il gas azero fino all’Austria, che l’avrebbe distribuito al resto dell’Europa.
Diventa decisivo il tratto che porta in Puglia, per il quale Tap ha battuto il consorzio Itgi, capofila Edison , cioè i francesi di Edf, che però ha deciso di andare avanti lo stesso. “Porteremo in Puglia il gas israeliano un anno prima di Tap” ha dichiarato Depa, partner greco di Edison.
Di Tap si parla già nel 2009 in una telefonata agli atti dell’inchiesta sulle escort fornite da Tarantini a Berlusconi. Al telefono Roberto De Santis, imprenditore amico di Massimo D’Alema – soci nella prima barca Ikarus – e Gianpi Tarantini. Il primo parla di “un tubo che sbarca dall’Albania a Brindisi (...) che è quello su cui stavo lavorando io” e chiede al secondo di parlarne con Berlusconi. Il Cavaliere, sentito dai pm proprio su questo punto, si limita a un “non ricordo”.
E.On ora ha solo il 9 per cento di Tap, ma gestisce la trattativa con le istituzioni. Letta non vuole che l’operazione venga disturbata. Una spiaggia è poca cosa rispetto alla possibilità di pagare il metano meno di quello acquistato in Russia. Il ministro dei Beni culturali Massimo Bray “dribbla anche fisicamente la domanda” sul Tap, racconta il sito web Tr News.
Bray, leccese, è direttore della dalemiana rivista ItalianiEuropei. Da cui viene anche il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, che nei giorni scorsi ha concesso una cauta apertura al referendum proposto da Nichi Vendola, governatore della Puglia. E, non solo per assonanza, nascono i No-Tap. Nessuno ha visto il progetto. Eppure D’Alema invita a “sdrammatizzare l’impatto dell’opera” e a “non spaventare i cittadini”. Ma i cittadini non si fidano e si spaventano.
I Comuni contrari al progetto Tap sono sei. Altri dieci sindaci sono pronti a deliberare la bocciatura. Per gli ambientalisti del Wwf “il progetto non va autorizzato per carenza di studi e incompleta valutazione dei reali impatti ambientali”. Ma tutto si decide a Roma. E.On lascia, Tap resta: avrà la stessa forza politica?