Aldo Grasso, Corriere della Sera 4/12/2013, 4 dicembre 2013
PUCCINI-KARENINA SENZA SENSUALIT
Uno dei principi fondamentali su cui si fonda la fiction italiana è l’eterno ritorno dell’uguale. Il fatto, per esempio, che «Anna Karenina» abbia già avuto decine di trasposizioni cinematografiche o televisive non è affatto un ostacolo, anzi. E si tratta pur sempre di misurarsi con registi e attori importanti! Il pubblico generalista ama guardare quello che già conosce, come se ascoltasse più volte una canzone che appartiene al suo repertorio. Chi non conosce le disavventure d’amore di Anna Karenina? Chi non ha provato trasporto per il suo amore ardente, soffocato dalla meschinità e dai pettegolezzi della San Pietroburgo bene che sente violate le sue convenzioni?
Uno degli errori tipici della fiction italiana (specie di quella più ambiziosa) è di confondere contenuto con qualità. «Anna Karenina», come sostiene Pietro Citati, è un grande romanzo di abbandono, di vuoto e di morte, e tutta la grandiosa architettura del libro (piena di coincidenze simboliche) è costruita da Tolstoj con mano vigorosa e delicata. Nella scrittura della mini serie, prodotta da Rai Fiction, da Lux Vide, dalla tedesca Betafilm, dalla spagnola Telecinco Cinema e dalla francese Pampa Productions, sceneggiata da Francesco Arlanch e diretta dal canadese Christian Duguay («Coco Chanel», «Sotto il cielo di Roma»), si fatica a cogliere uno stile (Rai1, lunedì e martedì, 21,15). Sembra di assistere a un vecchio sceneggiato della Rai con iniezioni di modernità. Al posto del ballo suggerito dal libro, sentiamo «One day I’ll fly away» nella versione di Nicole Kidman nel «Moulin Rouge» di Baz Luhrmann, qui cantata da Bianca Atzei. Che poi è la stessa trovata, nel ciclo biblico, di vestire il diavolo con un abito Armani.
Nel romanzo, Anna è la personificazione di Eros, qui è Vittoria Puccini, tanto bella quanto eterea, con una vocina flebile che toglie al personaggio ogni profondità sensuale. Verrebbe da dirle: attenta al treno!