Guido Ceronetti, Corriere della Sera 4/12/2013, 4 dicembre 2013
IL MANDATO IMPERATIVO CORRE SUL FILO DEI TELEFONINI
Il più che bravo avvertitore Giovanni Sartori, in un fondo del «Corriere» («Una violazione macroscopica» del 6 novembre scorso) ci ricordava che, costituzionalmente (art. 67), nessun parlamentare può essere vincolato da un mandato imperativo; in quanto rappresentante del popolo non può essere eterodiretto, la sua decisione dovrebbe essere personale. Sartori piglia a esempio i grillini, resi spettrali e sfatti dalla passività nei confronti di un capo isterico che li comanda dall’Occulto. In verità è dal 1945 che abbiamo un’idea molto pallida di ciò che sia rigetto vero di guide totalitarie. Anche il partito di Berlusconi è tenuto insieme (o lo è stato finora) da un via via meno lucido mandato imperativo. E gli sventurati Democratici, racemi di vendemmie totalitarie del secolo XX (eterodiretti vaticani, arcieterodiretti di Cremlino) brancicano in cerca di un solido, riposante mandato imperativo. Tutti insieme formano una scolorita uniforme palude di homines ad servire parati (Tiberio sui suoi senatori). Tutti insieme incarnano l’unica faccia di una disrealtà che corrisponde a una somma di appiattimenti mentali dove non c’è traccia di autonomie personali. Vedi come il loro linguaggio, caro Sartori, non è che un’interminabile sequenza di luoghi comuni, bene regolati dai bischeri del Pensiero Unico.
Il contributo dei cellulari alla dipendenza degli eletti andrebbe analizzato. Il cellulare è un formidabile produttore di dipendenza. Nessuno di noi gli si accosta e ne usa senza pericolo per la sua autonomia. Quel che è comodo asservisce e, peggio, estende l’asservimento. Figurati un parlamentare! Avrà sempre in quel segnalino tascabile un temibile controllo permanente. Sempre più il loro voto è frutto di giudizio coatto e ricatti in ogni luogo e momento. Per poco che significhi il loro voto, saperlo così scorticato di ogni autonomia sgomenta alquanto.
Una pattuglietta di Radicali nel legislativo non mi dispiacerebbe, ma fino a che punto il loro mandato sarebbe sciolto dalla incontrastata volontà di Marco Pannella? Cosa succederebbe al deputato radicale che si rifiutasse, per scrupoli di coscienza, dì votare per l’Amnistia perseguita dal grande Digiunatore?
Nel film di Spielberg su Lincoln era ben rappresentato il dramma personale di ciascun eletto di fronte a un voto di immensa portata storica come quello per il Tredicesimo Emendamento (la parità di diritti tra liberi e schiavi) voluto dal Presidente. Nessuna voce dall’Occulto Tecnologico li pungolava, quegli uomini in guerra e dalla passione civile violenta, la sola a determinarne il voto. La coscienza e l’ossessione del mandato autonomo di rappresentare il popolo li sbatteva come il vento delle Rocciose — catarsi finale, anche per noi spettatori che sentiamo i nostri valori civili ignobilmente calpestati, altissima. Perché la libertà è sempre qualcosa di terribile: ha i piedi dentro il Tragico eterno, nella vicenda eterna di Antigone e del luterano alla Dieta «non posso altrimenti».
Meglio guardare da un’altra parte, che fare la mosca in quelle aule di schiuma. E tuttavia la Rappresentanza in sé, dacché esiste, risente dei graffi dell’unghia tragica. Anche in un voto farsesco e asservito si manifesta qualcosa che influirà sui destini, ci saranno conseguenze per molti milioni di vite.