Goffredo Buccini, Corriere della Sera 4/12/2013, 4 dicembre 2013
SE LA DONNA SINDACO ANTI ’NDRANGHETA FINISCE SOTTO ACCUSA
Comunque finisca, la ’ndrangheta avrà segnato un punto. «Il dolore è di tutti, questa storia alimenta la sfiducia», ha osservato saggiamente Vincenzo Lombardo, il procuratore antimafia che ha chiuso il cerchio attorno a Carolina Girasole. Già. Dolore, non sorpresa. Correva da un pezzo sottotraccia la notizia che l’ex sindaca di Isola di Capo Rizzuto potesse avere grane giudiziarie: che fosse, insomma, altra cosa rispetto alle sue colleghe del movimento delle sindache calabresi contro le cosche (Maria Carmela Lanzetta, Elisabetta Tripodi). Due anni fa — la notizia era riservatissima — i carabinieri dissuasero prudentemente un’ignara Annamaria Cancellieri, allora ministro degli Interni del governo Monti, dallo scendere in Calabria a manifestare solidarietà a quella piccola professoressa del Crotonese che guidava il municipio di Isola dal 2008 e sembrava sotto il tiro minaccioso dei padrini (aveva subito attentati e intimidazioni d’ogni tipo).
Sembrava? Sì. Da ieri mattina, quando la Girasole è stata messa ai domiciliari dalla guardia di finanza, arrestata assieme a suo marito e un’altra dozzina di indagati per corruzione elettorale (voti del clan Arena in cambio di favori da sindaco), nulla è più ciò che pensavamo fosse, perfino gli attentati, si dice adesso, «fatti non dalla mafia ma dalla criminalità comune», come se tra mafiosi e criminali comuni si potesse tracciare una frontiera giù in Calabria. Fino in fondo abbiamo sperato che voci e maldicenze rimbalzate fin dentro il suo partito di riferimento, il Pd, non fossero altro che un modo, tipico della mafia, per «mascariarla», per sporcarne l’immagine. E vogliamo dirlo: ancora lo speriamo, essendo il procedimento nella sua fase preliminare. Tuttavia le intercettazioni che già filtrano sono agghiaccianti. I capibastone del clan Arena (uno degli ordini di arresto tocca anche al vecchio boss Nicola, 76 anni, già detenuto) ironizzano addirittura sul profilo antimafia della sindaca: «Glielo direi io come ha preso i voti!». «In una notte anche 350, con sigarette e omaggi!». «Quella l’abbiamo messa noi lì, possiamo chiederle ciò che vogliamo». Si scopre adesso che le terre confiscate, che pensavamo da lei consegnate alla collettività, sarebbero state in realtà «gestite» nell’interesse dei boss: tutto alla rovescia. Possibile?
Carolina ha sulle spalle un peccato originale su cui fareste fatica a trovare due righe in qualche inchiesta giornalistica: suo marito è cognato di un rampollo degli Arena nipote del padrino. La notizia veniva abitualmente sottaciuta agli inviati «del Nord». Quando le chiedemmo perché mai non dichiarasse la parentela apertamente, vantandosi anzi di avere scelto l’antimafia nonostante la famiglia acquisita, lei ci disse che la faccenda veniva strumentalizzata e che una brava persona come suo cognato aveva sofferto abbastanza. Il Pd la abbandonò alle ultime elezioni comunali, e questo parrebbe un segno di preveggenza: non fosse che s’affidò a un ex sindaco che aveva avuto il Comune sciolto per mafia anni prima. Difficile separare con un colpo netto il bene e il male, a certe latitudini, dove il figlio del poliziotto e il figlio del malacarne stanno insieme sui banchi di scuola.
Ora, però, tocca farlo, le opzioni sono solo due: innocente o colpevole. Nel primo caso, la mafia calabrese avrà mostrato plasticamente tutta la sua potenza, distruggendo con una montatura una coraggiosa nemica e seminando dubbi nel fronte antimafia. Nel secondo, invece, sarà addirittura riuscita a inquinare quel fronte, piazzandovi una sua testa di paglia camuffata da eroina. Oggi dunque ci dicono: attenti a costruire i simboli. Giusto. Il monito vale soprattutto per noi giornalisti. Meglio privilegiare chi si muove passo dopo passo, senza squilli di tromba. Tuttavia i simboli servono, contro la mafia, le sottraggono il consenso e l’egemonia senza cui nessuna dittatura si regge, neppure quella criminale. E la mafia lo sa benissimo, tant’è che cerca di abbattere i nemici prima di tutto diffamandoli, come fece con Dalla Chiesa e Falcone. È per questo che, comunque finisca, oggi i cattivi segnano un punto. E che, chiunque gioisca per l’arresto di Carolina, se non è mafioso, va indagato per concorso esterno in irresponsabilità aggravata.