Stefano Agnoli, Corriere della Sera 4/12/2013, 4 dicembre 2013
MIX ENERGETICO, L’ORO NERO REGNA SOVRANO MA A ORIENTE ATOMO E VENTO ALZANO LA TESTA
Quanta energia servirà al Qatar, nell’estate del 2022, per mantenere a ventisette gradi la temperatura all’interno degli stadi del Mondiale di calcio? Difficile calcolarlo oggi. L’emirato si è impegnato a creare il fresco artificiale con energia solare, quindi a impatto zero. Ma anche se la promessa ambientalista non dovesse essere rispettata non ci saranno problemi di afa per calciatori e spettatori, visto che il Paese del Golfo è il terzo proprietario mondiale di riserve di gas, e le risorse per produrre aria condizionata non mancheranno. Il Mondiale qatarino, a suo modo, certificherà il nuovo corso della storia energetica del pianeta: per quell’epoca, a cavallo cioè del prossimo decennio, il consumo di gas dei Paesi del Medio Oriente avrà superato quello di tutta l’Unione europea.
Non sarà l’unico segnale che gli scenari stanno cambiando, fa notare l’Iea (l’Agenzia internazionale dell’energia): i Paesi esportatori diventano sempre più rapidamente grandi consumatori; i maggiori importatori si trasformano in esportatori, come accadrà a breve per gli Stati Uniti; aree fino all’altro ieri neglette come quelle dell’Estremo Oriente asiatico saranno tra le nuove molle del sistema mondiale. Chi avrebbe mai detto che grazie alla rivoluzione del gas e del petrolio «non convenzionale» gli Stati Uniti messi in ginocchio nel 1974 dall’embargo avrebbero superato Arabia Saudita e Russia come produttori di greggio e gas? O che proprio in questi mesi la Cina si stia aggiudicando la palma di maggiore importatore al mondo di petrolio, mentre entro il 2030 potrà addirittura essere il maggior consumatore con 15 milioni di barili «bruciati» ogni giorno (una volta e mezza la produzione saudita)?
Ma se l’asse (energetico) terrestre si sta spostando, e i fattori tecnici, economici e geopolitici mutano e si ricombinano tra loro, qualche ragionevole certezza rimane. Con una popolazione in crescita e economie in espansione nei prossimi anni (almeno quelle extraeuropee), la domanda mondiale di energia è destinata a crescere di un terzo tra il 2011 e il 2035 (a quota 17.400 milioni di «toe», tonnellate di petrolio equivalente). Altri punti fermi riguardano invece le tradizionali «fonti fossili», cioè petrolio, gas e carbone. Ebbene, comunque si costruiscano gli scenari mondiali di consumo, continueranno a farla ampiamente da padrone, con un quota che difficilmente scenderà sotto il 70% — solo se venisse siglato un improbabile accordo sul clima — e che più probabilmente si manterrà vicina all’80%. In questo quadro nessuna fonte sarà in grado di scalzare il ruolo di «re petrolio», che rimarrà il componente numero uno dell’«energy mix» planetario anche quando, nel lontano 2035, il suo peso scenderà sotto il 30%.
Al momento attuale i timori di scarsità sono agli ultimi posti nella scala dei rischi percepiti. I prezzi del greggio, dal 2009 in poi, non sono mai stati così alti e nella media annua si sono costantemente mantenuti sopra i 100 dollari al barile. Un livello che ha fatto la fortuna dei Paesi dell’Opec, che quest’anno incasseranno tra i 1.100 e i 1.200 miliardi di dollari, e che ha consentito alle élite locali di aprire il rubinetto dei budget statali, tenendo per quanto possibile sotto controllo il malcontento delle masse. Ma «prezzi alti», nel mondo del petrolio, significa soprattutto che la ricerca e la messa in produzione di greggio in aree difficili, assai più costosa, consente ugualmente margini di profitto. Ecco, quindi, spiegati i calcoli dell’Iea, secondo la quale le riserve «provate» di petrolio coprono oggi 54 anni di consumi. Con quelle tecnicamente «recuperabili» si potrebbe arrivare a quasi due secoli (190 anni).
Altre certezze? Intanto che le equazioni tradizionali delle fonti energetiche non verranno sostanzialmente scalzate. E così «petrolio» sarà ancora l’equivalente di «trasporti», mentre «gas» e «carbone» lo saranno di «elettricità». All’incirca sei barili su dieci serviranno ancora a nutrire il movimento delle flotte automobilistiche di tutto il mondo, mentre la corrente continuerà a essere prodotta bruciando gas naturale nelle centrali e, soprattutto, utilizzando il carbone, che continuerà a pesare tra il 50 e il 40%. In quest’ultimo caso il principale imputato è la «solita» Cina, che a fine 2012 era il più grande importatore e consumatore mondiale di carbone, anche se sta comunque provando a mettere in atto un programma di contenimento di cui al momento non si possono valutare i risultati.
Ma che cosa accadrà con le altre fonti, forzatamente «residuali»? Qui le scarse sicurezze vengono meno, cancellate dalle incertezze della politica. Dopo due anni abbondanti di «penitenza» post-Fukushima l’energia nucleare ha comunque rialzato la testa. Nello stesso Giappone, dove il governo Abe sta faticosamente cercando di ribaltare il «phase out» deciso dopo il disastro del 2011; in Europa, con la Gran Bretagna di Cameron pronta a dotarsi di una o due centrali per supplire al possibile calo delle produzioni del mare del Nord. L’atomo civile, tuttavia, resterà un presidio soprattutto «orientale»: sarà sempre la Cina il suo maggiore sponsor, seguita da Corea del Sud, India e Russia.
Paradossalmente un discorso analogo può essere fatto con le fonti rinnovabili, eolico e solare in testa. È la fame insaziabile di energia che spingerà ad esempio Pechino a «catturare» entro il 2035 (sempre fonte Iea) il 30% del vento mondiale per uso energetico, seguita da Unione europea (25%) e Stati Uniti (14%). La politica, nel caso delle fonti «rinnovabili», rimane un fattore decisivo: la loro competitività dipende dagli incentivi che vengono concessi, e che nel mondo (2012) sono stati pari a 102 miliardi di dollari. Il Qatar, per il suo Mondiale, ha stanziato 200 miliardi di dollari. Probabile che i fondi per tenere al fresco con l’energia solare i novelli Messi e Ronaldo si troveranno.
@stefanoagnoli