Massimo Gaggi, Corriere della Sera 4/12/2013, 4 dicembre 2013
LO SCATTO USA SULL’ONDA DELLO «SHALE GAS»
George Mitchell, americano del Texas ma figlio di un pastore che allevava capre in Grecia, se n’è andato qualche mese fa, a 94 anni. Celebrato, ma senza grande enfasi, come un imprenditore geniale: un pioniere dello sviluppo di nuove tecniche di estrazione degli idrocarburi. Avrebbe meritato molto di più perché è grazie al suo genio di innovatore, ma soprattutto grazie alla sua tenacia nel puntare sul perfezionamento di tecniche di recupero di gas e petrolio intrappolati nelle rocce che i grandi operatori non ritenevano remunerative, che l’America ha di nuovo il vento in poppa: quello della rivoluzione dello «shale gas».
L’impennata della produzione di gas e petrolio dovuta a questa tecnica è appena all’inizio, ma l’impatto economico è già impressionante: negli ultimi otto anni negli Stati Uniti il prezzo del gas per usi industriali è più che dimezzato, mentre in Europa è cresciuto (anche per vincoli amministrativi e politiche energetiche sbagliate) del 64 per cento. Risultato: oggi in Europa il gas ha un prezzo medio che è pari a tre volte e mezzo quello Usa. Mentre in America l’energia elettrica costa la metà rispetto all’area Ue.
«La rivoluzione innescata da Mitchell ha già fatto crescere la produzione Usa di gas di un terzo, ed è solo l’inizio — dice Daniel Yergin, il grande storico dell’industria petrolifera mondiale —. Gli sviluppi saranno straordinari. E le preoccupazioni ambientali, in alcuni casi giustificate, vanno viste alla luce dello straordinario calo dei livelli di CO2 negli Usa negli ultimi dieci anni, dovuti anche alla sostituzione del carbone delle centrali elettriche col gas, molto meno inquinante».
Le conseguenze economiche e sociali di tutto ciò sono enormi per gli Stati Uniti: oltre a quello diretto — gasdotti, impianti di liquefazione del gas, sviluppo di nuove infrastrutture di estrazione in molti Stati, dal Colorado alla California passando per Ohio e Pennsylvania — c’è un l’impatto economico indiretto del rilancio di tutte le industrie ad alto consumo di energia.
Gli Usa stanno già registrando un nuovo boom delle industrie chimiche, siderurgiche e dei settori manifatturieri «energy intensive», mentre l’Europa, che cerca faticosamente di uscire dalla recessione, non dispone di nulla di simile. E, anzi, rischia di perdere molte produzioni a favore degli Usa: il gruppo Arcelor-Mittal, ad esempio, sta già trasferendo alcune sue produzioni siderurgiche dalla Ue all’Ohio. Secondo le analisi di Ihs Global Insight questa rivoluzione energetica e le sue conseguenze sul sistema industriale produrranno, da qui al 2020, oltre 3 milioni di nuovi posti di lavoro e un incremento del Pil americano di 468 miliardi di dollari.
«Se l’Europa non reagisce perderà inesorabilmente capacità di competere — commenta il presidente dell’Eni, Giuseppe Recchi —. Da noi, con ogni probabilità, non ci sarà un boom dello shale gas, quindi dovremo trovare altre strade, a cominciare da una politica energetica più efficace e meno sussidiata: abbiamo bisogno di un sistema e di un mercato Ue dell’energia veramente unificato».
In realtà grosse riserve di idrocarburi imprigionati negli strati rocciosi ce ne sono ovunque, dalla Cina all’Africa. Ed anche in alcuni Paesi europei. Ma solo gli Stati Uniti, oggi, sono in grado di trarre vantaggi significativi da questa rivoluzione. E la situazione, secondo tutti gli analisti, rimarrà questa per almeno vent’anni grazie al vantaggio tecnologico accumulato dall’America, alle sue capillari infrastrutture energetiche e a un sistema di regole che non frena, anzi incentiva, lo sviluppo di queste nuove fonti.
Risultato: gli Usa, che hanno già incrementato di un terzo la loro produzione di gas, nel 2015 supereranno la Russia mentre nel 2020 sopravanzeranno, nell’estrazione di petrolio, anche l’Arabia Saudita, il leader mondiale. A quel punto gli Usa saranno il leader mondiale dell’energia e, probabilmente, un esportatore netto di idrocarburi. Con impatti geopolitici (sulla distribuzione delle risorse energetiche e sui loro prezzi) molto vasti e certamente sorprendenti per chi ha già pronunciato sentenze definitive sull’inevitabile declino della potenza americana.