Andrea Scanzi, Il Fatto Quotidiano 3/12/2013, 3 dicembre 2013
IL TENERO SAVERIO CHE ESULTA SEMPRE E COMUNQUE
QUANDO Aldous Huxley scrisse Le porte della percezione, non poteva certo prevedere Saverio Montingelli. Ovvero la dimostrazione vivente di come il lisergico sia una categoria dello spirito, più che uno stato di allucinazione. Catapultato in un mondo non suo, Montingelli sarebbe stato una strepitosa icona vintage del Novantesimo minuto di Paolo Valenti. È arrivato dopo, e quindi – asincrono rispetto al proprio presente – deve convivere con un anacronismo eterno. Montingelli ride sempre, soprattutto quando non deve.
Montingelli parla sempre, soprattutto quando Varriale non vuole. E Montingelli esulta sempre, soprattutto quando non ce n’è motivo. L’esempio più recente ne racchiude appieno l’approccio adorabilmente naïf.
Prima fase: l’estasi. “Ha segnato il Cagliari! Ha segnato il Cagliari!”. Seconda fase: l’iperbole.
“E quindi è esplosa di gioia la gente di Olbia! Un momento di soddisfazione dopo giornate tribolate, ricche di patimenti...”. Terza fase: la cocente disillusione (preannunciata dai puntini di sospensione). “Ma il gol non c’è, mi dicono. Il gol non c’è”.
A questo punto, qualsiasi giornalista entrerebbe in depressione per la figura mesta. Non Montingelli. Il quale, innamorato della sfera fantastica come Capezzone dell’incoerenza compiaciuta, rifiuta la realtà e incolpa il destino cinico e baro.
“SIAMO STATI ingannati, siamo stati ingannati”. Da chi? Dal Cagliari? Dall’arbitro? Dalla miopia? No: dalla vita.
Più che un cronista, Montingelli è un tenero Amelie applicato alla sfera pallonara. Non è lui che sbaglia: è il mondo che non va dove dovrebbe andare. E Saverio lo sa. E ciò nonostante, come uno stoico ilare, non smette mai di sorridere.