Roberto Perrone, Corriere della Sera 3/12/2013, 3 dicembre 2013
L’OUTING DEL GIOVANE TOM «FELICE CON UN UOMO»
«C’è qualcosa che sento di dover dire... non è una decisione facile da prendere, io spero che voi possiate sostenermi!:)». Il tweet rimanda a un video su YouTube. Un auto-filmato tremolante, girato con uno smartphone da un giovanotto su un divano, sprofondato tra cuscini con l’Union Jack: «A primavera, la mia vita è cambiata in maniera sostanziale: ho conosciuto una persona che mi ha fatto sentire così felice e così sicuro, e questo qualcuno è un uomo». E via, un altro giro di giostra mediatica per un ragazzino diventato uomo in fretta, in diretta tv/web/giornali: Thomas Robert «Tom» Daley di Plymouth, tuffatore dall’età di 7 anni, medaglia d’oro al Mondiale di Roma 2009 e di bronzo all’Olimpiade di Londra 2012 dai 10 metri della piattaforma. Una vita sotto i riflettori, davanti alle telecamere, sui social network, in una sorta di Truman show che non gli ha risparmiato nulla, neanche il dramma della morte del suo principale sostenitore, suo padre Rob, nel 2011, per un tumore. «Papà mi ha sempre detto: “Finché sei felice tu, sono felice anch’io”. Anche la mamma mi è stata vicina e così la famiglia e gli amici».
Il 25 marzo del 2008 in un container di Eindhoven, a neanche 14 anni (è nato il 21 maggio del 1994), dopo aver conquistato l’oro agli Europei, Tom puntava lo sguardo dentro le telecamere con la naturalezza della star e l’apparecchio tra i denti. Come tutti coloro che non hanno abbandonato del tutto l’infanzia, mescolava sicurezze («voglio essere campione olimpico») e desideri (un gelato, negatogli da una dieta feroce). Una vita in equilibrio tra allenamenti durissimi (durante la scuola 45 minuti la mattina, prima di andare in classe e 2 ore e mezzo il pomeriggio, in vacanza 6 ore al giorno) e un interesse quasi morboso della gente. Tom era uno dei «figli del Tass» il programma per scovare e sostenere atleti di talento nelle scuole e avviarli allo sport di vertice. Aveva anche il sostegno del Daily Mail : suo padre, a cui era stato diagnosticato il male nel 2004, non lavorava più.
La Gran Bretagna aspettava l’oro a Londra. Tutta questa esistenza «flashata» ha avuto il suo contrappasso proprio al London Aquatics Centre: Tom ha sbagliato il primo tuffo, zavorrato dall’emozione e abbagliato dagli scatti dei fotografi e dai riflessi di tutte le telecamere puntate su di lui. Ha chiesto e ottenuto di ripetere il tuffo ma questo non è bastato: è finito terzo, dietro David Boudia (Usa) e Qiu Bo (Cina). Il 2012, cominciato con le accuse del performance director della squadra britannica, Alexei Evangulov, critico con Tom «perché le attività commerciali e mediatiche possono andare a discapito dell’allenamento», è terminato con i violenti insulti sulla Rete dopo il bronzo, per cui sono finite in galera due persone.
Da ragazzino ascoltava «World» di Daniel Kelly, un pianista jazz con ritmi afro-cubani. Non si è mai interessato di football, ma di ginnastica e tuffi. Qualche mese fa aveva negato di essere gay al Daily Mirror e neanche ora il tuffo è completo: «Mi sento ancora attratto dalle donne, ma sono felice nella situazione attuale». A inizio 2013 è comparso, come maestro delle star, in «Splash» (da noi «Stasera mi butto») il reality sui tuffi-vip. Ma a volersi tuffare, oltre confessioni pubbliche, comparsate tv e interesse popolare («uomo più sexy del mondo» per la rivista Attitude ), è ancora lui: «Voglio vincere una medaglia d’oro ai Giochi di Rio 2016». Il sogno di quel bambino/uomo è ancora intatto.
Roberto Perrone