Ljudmila Ulitskaja, Corriere della Sera 3/12/2013, 3 dicembre 2013
FESTE, ESECUZIONI, BUFFONI DA CIRCO STORIE E LEGGENDE DELLA PIAZZA ROSSA
Il nome «Piazza Rossa», che di solito si utilizza all’estero, viene dalla traduzione scorretta di «Krasnaja Ploschad», che lega il colore rosso (krasnij) al colore del comunismo. Ma nel russo antico quel «krasnaja» significava «bella». Ed è così, infatti: la Piazza Rossa è davvero una bellezza. Sulla Piazza Rossa si è consumata la storia della Russia: qui si leggevano i decreti imperiali, avvenivano le esecuzioni e si organizzavano le feste nazionali. Da qui passavano le parate militari sia ai tempi dello zar che in epoca sovietica, e tuttora tonnellate di armamenti frantumano il selciato e rovinano le strade, mentre gigantografie dei governanti vengono portate in giro durante i cortei. Qua, nel 1960, sono venuta con i miei compagni di classe, come prevede la tradizione per gli studenti moscoviti, la sera dell’ultimo giorno di scuola, camminando su quei tacchi alti che da allora non ho più indossato... Qui, su questa piazza, nel 1968 sette audaci cittadini protestarono contro l’entrata delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia. Tra loro c’era la mia amica Natal’ja Gorbanevskaja, che era arrivata con la carrozzina in cui dormiva il suo bambino di tre mesi. Lei e altri partecipanti pagarono quella coraggiosa manifestazione con il carcere e con dei trattamenti psichiatrici forzati. Natal’ja Gorbanevskaja divenne un simbolo del movimento dissidente in Urss, passò la vita in esilio, a Parigi, ed è morta due giorni fa...
Qua, sotto le mura del Cremlino, vicino alla favolosa cattedrale di San Basilio, si intrecciano le vite dei santi e degli zar di Russia, dei ribelli giustiziati e del capo, mummificato, della rivoluzione mondiale: Lenin.
Insomma, la storia, la cultura, la politica si fondono insieme per dare vita a un soggetto che, per la ricerca etnografica, che va da Ivan il Terribile ai nostri giorni, è bellissimo. Tanto più che la vita vi aggiunge con generosità soggetti nuovi: proprio di recente, esattamente accanto al mausoleo del leader imbalsamato, è iniziata la costruzione di una valigia gigante, che ha l’aspetto di un baule firmato Louis Vuitton, grande 9 metri per 30. Un’installazione provvisoria, certo. Si tratta di un’azione di tipo commerciale unica, pensata in occasione dei 120 anni del Gum, il negozio più importante del Paese, e dei 150 anni dell’azienda Louis Vuitton, il cui sodalizio va avanti, «senza una crepa», quasi dai tempi di Napoleone.
E cosa non è successo! «Sacrilegio! Stanno minando le fondamenta! Un’offesa contro un luogo di culto!», hanno gridato quelli che hanno ancora a cuore l’eredità del potere sovietico.
I comunisti,che solo per puro caso lasciarono intatta la cattedrale di San Basilio e non la fecero saltare in aria con l’antico Monastero dei Miracoli, che si ergeva sulle mura del Cremlino fino alla rivoluzione e che non dava fastidio a nessuno, insieme ad altre decine di migliaia di templi ortodossi, proprio loro sentono che la valigia di Louis Vuitton offende i luoghi sacri.
La Russia non conosceva la «commedia dell’arte», ma qui si teneva un evento teatrale simile, il «balagan», uno spettacolo di buffoni. Era un teatro di strada, più vicino al circo: dal baule, che prima veniva rovesciato e agitato, si potevano tirare fuori una coppia di colombe o una lepre viva, presa per le orecchie. Proprio in base alla cultura del «balagan», il baule di Louis Vuitton, come ogni altra scatolina, potrebbe tornare utile. È vero, sarebbe più adatta a un elefante. E divertirebbe di più il pubblico.
In questo nostro mondo, tutti adorano avvicinarsi all’assoluto o, in casi estremi, all’assurdo. L’assurdo si trova qui, dietro l’angolo, a pochi passi, vicino alla Piazza del Maneggio, ed ha l’aspetto di una fila di enormi matrioske e di un orso di bronzo puro. Non si sa come mai non siano entrati nel baule di Louis Vuitton! E tutto questo viene chiamato «postmodernismo».
Ad essere sincera, preferirei allo sfarzoso Louis Vuitton, immancabile partecipante della fiera delle vanità, un più democratico Benetton, giovanile e meno caro. D’accordo, alla fine condivido l’idea di L.V.: dopo tutto, ha dichiarato che il ricavato di questa performance del baule andrà in beneficenza ai poveri e agli ammalati. Certo, è uno spettacolo davvero volgare ma, per i poveri e gli ammalati, io sono disposta a tenere per me i miei principi estetici.
Eppure — cosa stupefacente — il baule è già stato smantellato. Nessun luogo di culto verrà violato. La nostra Piazza Rossa è diventata di nuovo una zona sacra. Si può stare in fila senza problemi fuori dal mausoleo di Lenin: lo hanno inaugurato dopo aver restaurato le fondamenta e la mummia, e dopo che per quasi novant’anni la povera anima di questo leader si è dannata perché il suo corpo non era stato sepolto. Si può osservare la parata militare e la manifestazione pacifica che solleva i ritratti di un’unica persona, Putin, che ha sostituito tutti i numerosi predecessori. Si può passeggiare in coppia, in modo decoroso e non in fila, ma bisogna sapere esattamente che cosa non si può fare. Per questo ci sono delle regole scritte: non sputare, non fumare, non riunirsi in massa, non inchiodarsi lo scroto al selciato (come ha fatto una settimana fa l’artista d’avanguardia Pavlenskij, che protestava contro la repressione del regime e la censura), non starnutire, non baciarsi, non bestemmiare, non farsi fotografie, non sporcare, non ridere e, se è possibile, non respirare. E se infrangerete le regole, faremo venire i militari a disperdere la folla. E se non ci riescono, chiederemo aiuto a Kiev. Ma con il baule di Louis Vuitton ci siamo già riusciti!
(Traduzione di Sara Bicchierini)