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 2013  dicembre 03 Martedì calendario

REGOLE E MISTERI DI UNA COMUNITÀ IMPERMEABILE


Le indagini sul tragico rogo di Prato vanno a rilento. Non si conoscono ancora i responsabili, le vittime e le cause dell’incidente che domenica ha troncato la vita di sette operai cinesi e anche questa è la dimostrazione di come sia difficile venire a capo per le autorità italiane e per la società civile di Prato della particolare struttura molecolare del distretto parallelo dell’abbigliamento. A differenza delle altre grandi e piccole Chinatown sparse per l’Italia Prato è un pezzo di industria che ogni anno fa volare dalla Toscana alla Cina lungo percorsi non ufficiali 500 milioni di euro. E tentare di modificarne il Dna dall’esterno è tutt’altro che facile. Lo sarebbe anche in caso di collaborazione piena e leale, figuriamoci in una situazione in cui tutti i tentativi italiani di restaurare il diritto e di far valere il segno della modernità devono fare i conti con la diffusa omertà, l’anonimato, l’uso di prestanome e la flessibilità nell’aprire/chiudere i laboratori-dormitorio. L’amministrazione comunale e la Procura di Prato quasi all’unisono ieri hanno snocciolato i dati dei controlli effettuati dal 2009 a oggi: 1.400 ispezioni ai capannoni gestiti dai cinesi, 600 sequestri di immobili affittati da proprietari italiani a ditte asiatiche, 26 mila fermi di macchinari non in regola con le più elementari norme anti-infortunistiche. Ma sia il sindaco Roberto Cenni sia il magistrato Piero Tony sanno, loro per primi, che si tratta di numeri «stanchi»: che già tenere lo stesso ritmo repressivo il prossimo anno non sarà facile viste le strutture risicate sulle quali possono contare. Da qui la critica esplicita verso il potere centrale di Roma che «ci ha lasciati da soli» a fare i conti con un problema più grande di Prato («qui siamo nel Far West» dice Tony) e che tira in ballo giocoforza i rapporti tra il nostro Paese e la superpotenza asiatica.
In città si sente il bisogno — politico ma anche psicologico — di dare una svolta decisa alla lotta contro l’illegalità, il sindaco ripete brutalmente che disgrazie come quella del Macrolotto di domenica si possono ripetere quasi ogni giorno e chiede quindi mezzi e forze per «un grande intervento di bonifica». Altri a Prato pensano a misure drastiche come revocare l’agibilità, seppur temporaneamente, a tutti i capannoni al di sotto dei 1.000 metri quadri (la tipologia delle ditte cinesi) per obbligarli a produrre la documentazione del pieno rispetto delle regole. C’è anche chi ricorda come il Pd, solo un paio di anni fa, avesse proposto di revocare il permesso di soggiorno ai proprietari dei laboratori-lager. Prato, dunque, vuole spingere sull’acceleratore senza però sapere se ne avrà la forza politica anche solo per rivendicarlo. È possibile che ai cittadini faccia piacere sentire volteggiare sul cielo della città gli elicotteri e vedere le pantere della Polizia sgommare nelle vie del quartiere cinese ma ciò segnerebbe una discontinuità nel rapporto con la comunità cinese, una svolta per ora senza rete. Qualche anno fa un ex ambasciatore di Pechino a Roma a proposito dei controlli in forze per le vie della Chinatown pratese parlò di «blitz nazisti», un giudizio estremo che il suo successore, il diplomatico Ding Wei, fortunatamente non ha ripetuto. Senza però spendersi di più, come avrebbe potuto, per indicare ai suoi connazionali la strada della trasparenza.
L’altro corno del dilemma di Prato sta proprio nella mancata dialettica tra le due comunità e le due classi dirigenti. Pur convivendo da lungo tempo ancora si conoscono poco i meccanismi di governance della cittadella asiatica, non si sa quanto la funzionalità del guanxi (il sistema tradizionale di relazioni sociali) dia seguito a un vero coordinamento delle politiche industriali e commerciali sul territorio, quanto insomma ci sia di centralizzato e quanto di molecolare in quella particolare formazione economico-sociale che è diventato il distretto sino-pratese. Di recente una ricerca dell’università di Siena ha evidenziato il formarsi di processi di differenziazione e mobilità sociale in base ai quali i giovani che parlano italiano si comportano sempre di più da consumatori occidentali e chiedono pressantemente ai proprio genitori di investire in case per radicare ancora di più il loro futuro in Toscana. Purtroppo però tra sociologia e politica oggi c’è un tappo, le novità si fermano laddove il modello di business fondato sull’illegalità viene difeso fino allo stremo. Ma, è questa la domanda di oggi, Prato può attendere all’infinito?
Dario Di Vico

@dariodivico