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 2013  dicembre 03 Martedì calendario

UNA LOLLOBRIGIDA AI GIOCHI: “IL CINEMA? SAREBBE PIÙ FACILE”


[Francesca Lollobrigida]

Non tutte le porte si aprono grazie a un cognome famoso. Francesca Lollobrigida ha dovuto scassinare il suo ingresso alle Olimpiadi e ci ha messo resistenza, anni, fatica, un cambio di sport, tre operazioni alla spalla, un discreto tributo alla sfortuna e infiniti chilometri su e giù tra Roma e Baselga di Pinè. Ma si sa, il pattinaggio di pista lunga è un mondo difficile e avere una zia icona del cinema non dà punti. Ora anche Francesca ha il suo nome in cartellone, tra i convocati ai Giochi di Sochi e ci è arrivata a 23 anni con tre record italiani, l’ultimo, sui 5000 m, stampato ad Astana dove si è gareggiato per la terza prova di Coppa del Mondo.
Ma come, il sogno da bambina non era fare l’attrice?
«Mi sa di no, magari sarebbe stato più facile, invece ho da sempre la fissazione per lo sport e il sogno olimpico, solo che il mio talento non rientrava nell’universo a cinque cerchi. Ho iniziato con il pattinaggio a rotelle e ho pure vinto i Mondiali. A un certo punto sembrava che la disciplina potesse essere ammessa ai Giochi e ho insistito, poi nel 2006 ho avuto l’illuminazione».
Ha visto Fabris vincere tre ori a Torino?
«Veramente ho visto Ippolito Sanfratello che di oro ne ha vinto uno solo, nell’inseguimento a squadre, ma come me viene dalle rotelle. Ho seguito l’esempio».
Non facile visto che lei sta a Roma e in Italia ci sono due piste per lo speed skating entrambe molto lontane.
«È iniziata la mia vita da pendolare: viaggi a Pinè, in Trentino, e poi in Olanda, il tutto autofinanziato dalla mia famiglia fino a che non è arrivata l’Aeronautica. Mio padre ha fatto fuori sei auto per portarmi avanti e indietro. E lunghi viaggi in treno, 80 euro solo per il biglietto. C’era da pagarsi tutto: ghiaccio, tecnici e giusto quando sembrava vicina la svolta mi sono infortunata».
Mai pensato di arrendersi?
«No ed è difficile spiegarlo. Il ghiaccio non è certo il mio elemento, anzi, io soffro di tiroide e dovrei stare al caldo. Sono sempre coperta dalla testa ai piedi, la barzelletta della squadra. Eppure sapevo che potevo fare progressi, che in questo sport c’era la strada per raggiungere il mio sogno».
E la zia cosa dice?
«Non ci conosciamo in pratica: lei è cugina di mio padre e ci siamo viste, credo, un’unica volta quando ero piccola, però il nome come è ovvio mi accompagna. Appena mi presento tutti mi chiedono se sono sua parente, solo che quando rispondo “sì” nessuno ci crede. Sarà per i capelli platino».
Ha visto i film di sua zia?
«Proprio perché non la frequento ma è comunque una presenza costante per me lei resta la Fata Turchina. Quasi nessuno si ricorda che ha recitato in “Pinocchio”. Per me la zia è quell’immagine lì, con la bacchetta magica e i boccoli azzurri».
Ora che è arrivata ai Giochi cosa si aspetta?
«Ero così impegnata a inseguirli che non mi sono mai immaginata nulla, non so come funzionano. Spero di non farmi distrarre da tutto quel che c’è fuori dalle gare. Sarà un’avventura».
Lei ha iniziato nel 2006 sull’onda dei successi di Torino, si aspettava che questo sport crescesse di più?
«Lo credevamo tutti, purtroppo fino a che in Italia ci sono solo due piste e pure scoperte non può cambiare niente. In nazionale siamo 12 e ci sono pochissimi juniores, 5 o 6 ragazze e una è mia sorella. Giuro che non l’ho costretta, solo che per evitare che mio padre fonda altre macchine e che i praticanti restino così pochi bisogna riaprire la pista di Torino. Non c’è un altro modo».