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 2013  dicembre 03 Martedì calendario

DAVANTI AL MIO MANTEGNA DOVRETE METTERVI IN GINOCCHIO


Calato nel buio, in una minuscola stanza dalle pareti scure, il Cristo morto di Mantegna sorprenderà da oggi i visitatori della Pinacoteca di Brera. Ha infatti cambiato posto e ora possiede una sala tutta per sé, anticipata dalla Pietà di Giovanni Bellini (che di Mantegna era cognato): così la celebre tempera su tela divenuta nei secoli un’icona del dolore si ammira priva di cornice e collocata in basso, a 67 centimetri da terra (tanto che per ammirarla nel modo migliore bisognerebbe mettersi in ginocchio), dentro una teca «a scomparsa» con il vetro antiriflesso che consente pure la vista del retro del dipinto. Una mossa rivoluzionaria per un museo non incline a rischiose avventure, che offre una visione severa, priva di compiacimenti, del corpo del Cristo disteso sul sepolcro, reso «in scurto» (di scorcio) in una miracolosa prospettiva che consente di ripercorrere l’intera figura dai piedi nudi in primo piano fino alla testa, con a fianco la Madre piangente, san Giovanni che prega a mani unite e un’altra figura, forse la Maddalena. Una tela di 68x81 centimetri che Mantegna dipinse poco dopo il 1480 per devozione privata, destinata a se stesso forse in ricordo della morte di due figli, tanto che alla sua scomparsa nel 1506 si trovava nello studio come unico dipinto «non in fase di lavorazione».
L’autore del nuovo allestimento è un vero poeta dell’immagine, Ermanno Olmi, il regista, sceneggiatore e scenografo, con alle spalle film come L’albero degli zoccoli e La leggenda del santo bevitore. Chiamato dalla Sovrintendente Sandrina Bandera, ha affrontato con entusiasmo e passione puntigliosa la rilettura del capolavoro tanto da potenziarne le qualità drammatiche e aumentarne pathos e intensità espressiva. «Mi sono limitato a collocare il quadro nella prospettiva giusta», ha spiegato il regista, intervenuto ieri alla presentazione con Sandrina Bandera e l’assessore alla Cultura di Milano Dario del Corno, «come del resto lo stesso Mantegna indica nelle volontà testamentarie, all’altezza in cui il corpo si trovava, come doveva essere guardato. Osservarlo in alto, com’era prima secondo i consueti criteri museale, è un ossimoro, una contraddizione che farebbe ribellare anche i chiodi. Io l’ho affogato nel nero, nello spazio infinito, nell’assoluto».
Isolato, illuminato solo da un minuscolo faro in alto a destra (la luce è interna alla teca), il dipinto richiede silenzio e concentrazione. Come la Pietà di Bellini, l’opera è ispirata al tema - cruciale nell’arte sacra a partire dal Due-Trecento - del «Compianto», il lamento sul corpo di Cristo morto con i sette dolenti intorno. Mantegna introduce parecchie novità: il colore livido, la riduzione estrema e la concentrazione dei mezzi espressivi, le figure ridotte a tre, Maria che si asciuga le lacrime con il fazzoletto, il san Giovanni e la terza figura, della quale si vede solo una parte del volto, tradizionalmente identificata con la Maddalena ma in cui ora, sulla scorta di nuovi documenti, si ravvisa il figlio prediletto di Mantegna (mentre il volto di Cristo si ipotizza possa essere quello dello stesso artista).
«L’opera d’arte», osserva Olmi, «deve poterci parlare in diretta, deve sorprenderci: per questo è bene accostarsi senza pregiudizi e troppa preparazione, l’occhio deve essere ingenuo, questo dipinto è come il fotogramma di un film, ma eterno, fuori del tempo. Ogni dipinto appartiene alla propria epoca, è ideato secondo i moduli della cultura contemporanea, ma il Mantegna appartiene all’assoluto, al passato, al futuro, alla memoria. Il corpo di Cristo non ha più segni di sofferenza, le piaghe sono ormai stigmate - la morte libera dai gravami fisici. Il mio buio esprime la luce. Non si può avere l’orologio davanti al Cristo morto, lasciamo che l’opera d’arte parli al nostro sentimento».
Il catalogo (edito da Skira) aiuta a capire meglio le novità che affollano il capolavoro di Mantegna, a cui nel secolo scorso si è ispirata la celebre foto di Che Guevara morto e che oggi continua a ispirare autori di installazioni e foto di indubbia efficacia. Uno scultore come Henry Moore era solito negli Anni 70 raggiungere la Pinacoteca di Brera, appena approdato a Milano dall’Inghilterra. Sostava ore davanti al Cristo morto. «Com’era bravo il Mantegna», spiegò. «Ho provato mille volte a disegnare il braccio e il fazzoletto di Maria, non ci sono mai riuscito».