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 2013  dicembre 03 Martedì calendario

LA BORRACCIA DEL 1952 “FU COPPI A PASSARLA”


Nel 1952, anno in cui la televisione europea era allo stato sperimentale (ergo, al di là da venire) questa fotografia — dovuta a Martini o estrapolata da un filmato della Cinesport di Elli? — ha galoppato, sulle strade del ciclismo, al ritmo di un Coppi ben rodato o di un Bartali in rabbiosa arrampicata. Ettore Milano, che di Coppi non era un “domestique” bensì un luogotenente, al pari di Andrea Carrea fidatissimo, ne dà ora una versione inedita, a cui mi adeguo. «La borraccia era quella di Coppi — dice Milano rievocando la tappa nella quale fu scattata la foto — e ricordo che gliela aveva regalata una signora belga. Fausto l’aveva riempita e portata in gara: fu lui quel giorno a passarla a Gino, che del resto aveva ancora le sue sulla bici». A quel Tour de France, c’ero: facevo parte del team della Gazzetta dello Sport, composto da Giuseppe Ambrosini, Guido Giardini, Emilio Violanti e dal sottoscritto. Era un Tour per nazionali. Con Binda commissario tecnico, che aveva già scelto Coppi quale capitano in fieri della formazione nei confronti di Bartali e Fiorenzo Magni. I primi ottocento chilometri del Tour ‘52 furono caratterizzati da una guerra interna, a colpi di spillo. La squadra italiana disseminata lungo la spina dorsale del plotone contro i belgi, spiegati in attacco: e Bartali che avanzava sulla primissima linea soltanto nelle vicinanze del rifornimento così che la corsa ricadeva quasi esclusivamente su Coppi e Magni. Ricordo gli umori di Fausto, espressi minacciosamente a Binda. «Se Bartali si fa vedere in prima linea solamente al ritiro delle vivande, l’avverto, cavaliere, che mi lascio calare al fianco suo. Buschiamo una buona mezz’ora e ce ne andiamo tutti a casa, giusto in tempo per “le rosse”, che dalle mie parti, lei è cacciatore, sono le pernici».
Binda era troppo accorto per non tranquillizzare Fausto. A Rouen, dove la corsa sarebbe approdata, il grande Alfredo avrebbe tenuto la sua orazione. All’hotel De Dieppe, Binda parlò, a cena, sotto la lampada. «La tattica francese — spiegò ai suoi giannizzeri — avviene a coppie: ogni giorno Bidot lancia i suoi uomini, nel tentativo di approfittare del comportamento prudenziale e della vulnerabilità della nostra squadra. Per parare il colpo si deve occupare la posizione più vicina a Fausto, che vedo sempre bene piazzato in formazione». Binda non incolpò nessuno. Coppi non aggiunse motto. Lo sguardo di Bartali percorreva la guglia più alta della cattedrale di Rouen. Aveva capito. Il Tour raggiunse l’indomani Roubaix, tappa di vigilia della fondamentale Roubaix-Namur. Il 28 giugno, uno dei più bei Coppi che abbia veduto, inseguendo un Diederick (a cui era stata concessa una larghissima libertà) ovvero facendo corsa nella corsa, giustiziò gli avversari di maggior calibro e ristabilì il suo capitanato assoluto. «Coppì... Coppì, enfant royal, sentenziava Godet. Coppì a gagnè, ce soir, le Tour». Ettore Milano ha detto la sua verità. La fazione di Bartali troverà altre testimonianze. A me sembrò, allora, nel prosieguo del Tour, che Bartali avesse assolto la funzione di un padre nobile non sollecitato, pronto al soccorso del vincitore sicuro, che era Fausto. Altre bottiglie, i due si scambieranno. Anche una ruota, dichiarava la dicitura di un cliché de L’Equipe. «Coppi, che ha già tolto il suo cerchio, è chino contro la testa di Gino nell’atto di prendere la ruota, che gli viene offerta». Ma la rivalità è avvertibile, anche di lontano, anche guardando le immagini. Una generosità dosata, controllata. Una rivalità che s’identifica pure nel gesto cavalleresco, la loro. Perché i due indimenticabili campioni, i colpi, non se li davano a patti.
(pubblicato il 5 luglio 2000)